Una premessa: sappiamo che non c'è alcun bisogno di spiegare ad Antonio Conte come vanno le cose in Italia. Però forse è il caso una volta di più di sottolineare come l'Inter sia un club particolare, tanto a livello di tifoseria quanto a livello mediatico. Ormai l'avrà capito anche lui. Gli interisti, per lo più, erano scontenti anche durante la stagione 2009/2010. E non c'è bisogno di elencare gli insulti arrivati a Mourinho e soci in quell'anno. Basti ricordare che, dopo la Champions alzata al cielo di Madrid, c'era chi dava più importanza alle parole di Milito che non al Triplete appena realizzato. Tanto per rendere l'idea...

L'interista, anche a causa della sovrabbondanza dei social, è sempre più un intertriste. Quasi gode più nelle sconfitte che non nelle vittorie. Un sentimento malsano. Un desiderio surreale nel voler sottolineare i demeriti e le note negative come se queste salvaguardassero in qualche modo la sua sportività, il suo essere differente. "Vedi come gioca il Milan?" oppure "Vedi come la Juve non sbaglia mai un acquisto?". Un continuo voler riaffermare sé stessi come "altro". Peccato che poi questo ricada (per fortuna non sempre) anche sulla squadra e sulla gestione di essa.

È ovvio, quindi, che i media seguano il business come fanno le formiche con le molliche di pane, dando in pasto ai lettori sempre più quello che vogliono sentirsi dire e sempre meno quello che è. Un andazzo consolidato che ha portato inevitabilmente a un crollo della qualità della categoria. Le disamine sono sempre meno approfondite, le analisi sempre più sommarie. Si parla per luoghi comuni, adeguandosi al sentito dire. Zero approfondimento, zero interesse per il campo. Quasi solo slogan e banalità. La scarsa conoscenza della materia, unita alla necessità di fare show, partoriscono spettacoli di livello infimo.

Tornando rapidamente allo 0-0 con lo Shakhtar: si sarebbe potuto parlare del fallo da rosso di Vitao (lo dice il regolamento, non io) oppure di un primo tempo a cui all'Inter è davvero mancato solo il gol. Senza per forza buttarla in caciara, si poteva chiedere con maggior accuratezza qualcosa sulle difficoltà nell'affrontare squadre che chiudono a doppia mandata le fasce e schermano le palle dirette alle punte con due mediani e tre centrali. Ma si poteva domandare anche qualcosa sulla mancanza di alternative a centrocampo (e il secondo tempo di Cagliari ha evidenziato palesemente il peso della lunga assenza di Sensi) o sulla cronica necessità di disporre di una punta pura di scorta. Ma anche chiedere conto del lavoro sulla soluzione del "trequartista mascherato", un'interpretazione alla quale si è lavorato probabilmente proprio per provare a trovare una chiave tattica diversa contro squadre che si chiudono a riccio. Un investimento che forse è costato qualcosa a inizio stagione, ma che potrebbe tornare utile in futuro.

Il piano B? Conte l'ha spiegato chiaramente dopo Cagliari: il piano B non esiste, sono le alternative in panchina il piano B. Con tutti a disposizione, c'è pure il piano C, quello D e quello E. Ma siamo sicuri che in tal caso si chiederà a Conte perché non abbia pensato a preparare il piano Z.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 15 dicembre 2020 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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