Il Triello continua. Inter, Napoli e Juventus hanno incominciato il valzer per i primi posti della classifica e settimana dopo settimana provano a inseguirsi e scavalcarsi. In attesa dei bianconeri, i partenopei scappano e la Beneamata stagna. E martedì, fra gli azzurri e gli uomini di Mancini, c’è la prima resa dei conti, in Coppa Italia. Per l’Inter gennaio è sempre stato un mese nero, negli ultimi anni. Sgretolatore di certezze e ambizioni, soprattutto. Sono quattro punti nelle ultime quattro partite quelli raccolti da Icardi e compagni, costretti ad annaspare a causa di errori dei singoli e di una confusione generale che regna più a livello tattico che fisico. L’Inter sta diventando prevedibile e non riesce a raddrizzare una partita. Ogni volta che va in svantaggio non riesce a vincere. E’ successo contro Sampdoria, Napoli, Fiorentina, Sassuolo e ora anche Atalanta. Sintomatico del fatto che quando c’è da premere sul pedale dell’acceleratore, alla squadra del Mancio manchi ancora qualcosa per considerarsi una grande. Un regista, ad esempio, che interrompa i continui e inutili fraseggi in mezzo al campo, ma che sappia verticalizzare e innescare gli esterni, oppure imposti l’azione con la rapidità di pensiero, non con la lentezza logorante con cui è costretta a convivere questa Inter.

E’ QUESTIONE DI EQUILIBRIO - Il centrocampo continua ad essere la zona del campo in cui i nerazzurri debbono investire di più. La pochezza espressa ieri è preoccupante, per la scarsa precisione dei passaggi e per i modi farraginosi con cui la squadra faceva salire la palla, rendendosi pressoché inoffensiva negli ultimi trenta metri. L’unica azione giocata di prima (una triangolazione - conclusa da Toloi - tra Jovetic e Icardi) ha portato al gol che ha quantomeno salvato la faccia ai nerazzurri, andati sotto per un errore di un Murillo irriconoscibile, che sta attraversando il primo periodo difficile da quand’è in Italia. Mr. Hyde, dopo che la versione Jekyll ci aveva fatto vedere il meglio di sé, fra recuperi fulminanti e sportellate con gli avversari. E’ evidente che a questa squadra manchi un metronomo, un uomo di raccordo, capace di essere quel tipo di passatore che evidentemente al momento non c’è in rosa. La probabile partenza di Guarin, coniugato all’altrettanto probabile addio di Ranocchia, potrebbe dare a Piero Ausilio la liquidità per intervenire sul mercato e soddisfare i desideri primari di Mancini: un esterno offensivo e un regista. Per il resto, la squadra è abbastanza profonda da pensare di poter lottare fino alla fine per i primi tre posti, con la Roma che proverà a rientrare grazie all’effetto Spalletti e la Fiorentina che vola sulle ali dell’entusiasmo sousiano. 

LJAJIC AL COMANDO - Così come Bartali sul nel 1949 sulla Cuneo-Pinerolo, terzultima tappa del Giro d'Italia, anche Adem Ljajic continua a essere l’uomo al comando di questa Inter. Più di Icardi e Jovetic, sì. E’ la sua corsa che tenta di raccordare attacco e centrocampo, così come sono sue le invenzione estemporanee che provano  risolvere la partita. Il serbo, dopo gli errori di domenica scorsa, vuole rifarsi e dà tutto in campo, dribblando come un forsennato e tirando in porta, che fa le orecchie da mercante ai suoi inviti. Il gol non arriva, tant’è che l’ex Roma si arrabbia e rimbrotta lui e i suoi compagni: “Dobbiamo fare di più, siamo l’Inter, dobbiamo uscire dal campo avendo dato tutto”. Un ruolo da leader che si è guadagnato sul campo, imparando il sacrificio e la corsa coniugata alla qualità che sa fornire alla manovra. In attesa di ritrovare il miglior Jovetic, oltre ad aspettare che Icardi riesca a coniugare la corsa alle realizzazioni, questo è: Ljajic è l'epicentro. Da trequartista gioca bene, ma la sensazione è che abbia bisogno più di un esterno che di un’altra punta (Jovetic) per rendere meglio. 

L'UOMO DELLA RESISTENZA - Diciamocelo. Ad un certo punto la partita si poteva riassumere in un Handanovic contro altri undici. Quello dell’Atalanta era quasi un tiro a segno, con il portiere sloveno chiamato a superarsi di parata in parata. La difesa era in apnea e Batmanovic è stato chiamato a fare la differenza. E’ il suo lavoro, minimizza. Ma parate d’istinto come quella su Cigarini, o a mano aperta su Monachello, sono davvero difficili da ammirare. In questo momento, il numero uno nerazzurro è il portiere più decisivo d’Europa, il protagonista perfetto di un film sul senso della resistenza e del sacrificio, quasi come se avesse lui - e non il figlio di Apollo Creed - Sylvester Stallone come coach. E proprio come un pugile, Handa prende tanti affondi durante la gara, ma non crolla mai. Se ci si mette pure il sole, inforca il cappellino e continua a parare. Fra i pali sembra una macchina, anche se la sensazione è che in occasione della svirgolata di Murillo avrebbe potuto fare qualcosa di più in uscita. Ma ormai il giocatore è pressoché completo, con il carico dei suoi limiti: prendere o lasciare. E in questo momento, l’Inter non può proprio stare, senza Handanovic. 

Sezione: Copertina / Data: Dom 17 gennaio 2016 alle 08:00
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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