Beppe Bergomi si avvicina ai 60 anni e La Gazzetta dello Sport non perde l'occasione per intervistarlo. Lo Zio parte scegliendo un momento da custorire per ogni decennio della sua vita: "Prima ci sono solo io bambino davanti al muretto di casa a Settala, feudo milanista: gioco fin quando mamma non chiama perché è tardi. A 13 anni e mezzo, invece, mi ritrovo all’Inter, in pullman accanto a un ragazzo della mia età: Riccardo Ferri, un fratello acquisito. Dai 20 ai 30 vinco lo scudetto dei record 1989 e nel 1991 la prima Uefa che inseguivo da anni: non ho mai sofferto come nella doppia finale contro la Roma. Nell’altro decennio mi tengo stretto le altre due Uefa e il gruppo di amici nell’anno con Gigi Simoni. Dovreste leggere la nostra chat “Inter 1997-98”...".

Cosa scriverete mai?
"Qualche giorno fa Simeone, mentre preparava la Champions, scherzava con noi: il tempo lì si è fermato. Dai 40 ai 50 dico solo “Andiamo a Berlino”: così poco bergomiano, ma è l’urlo di tutti. Me lo ripetono ovunque e non mi darà mai fastidio. In questo ultimo decennio, l’Europeo vinto da commentatore ha chiuso un cerchio, ma ho soprattutto assistito alle lauree di mio figlio Andrea e di mia figlia Sara. Sono orgoglioso di loro e di mia moglie Daniela, che ha scritto un libro sulla sua guarigione: “Donne che fanno miracoli”, è emozionante".

A quale dei suoi tanti maestri è rimasto più legato?
"Simoni su tutti, nessuno aveva la sua umanità. Bearzot è stato un papà e sono grato a Bersellini che mandò un 17enne in pasto ai leoni. Con Hodgson discutevo, ma da lui ho imparato moltissimo. Per l’esonero di Gigi Radice, invece, scoppiai in lacrime e non vi dico le prese in giro dei compagni... Osvaldo Bagnoli, poi, era un maestro della tattica, 30 anni avanti a tutti con la sua lavagna. Una volta, parlando in milanese, mi convinse a restare all’Inter".

Allora perfino lei stava andando via...?
"Nel 1991-92 con Orrico finimmo fuori dalle Coppe: un disastro, tante critiche. In quel momento si erano fatte sotto Lazio e Roma, ma bastò parlare con Bagnoli per mettere tutto a posto. Ricordo che anni prima, quando ne avevo 20, il Trap tecnico Juve mi disse: “Perché non vieni a Torino?”. Gli risposi: “Perché sto bene a casa, mister”. E lui: “Fai bene, bravo!”. Sapeva che sventolare una sola bandiera nella vita ti rende unico: te lo riconoscono tutti. Anche se significa vincere un solo scudetto, come accaduto a me. Anzi, per certi versi, è quasi un vanto perché è stato figlio di una fedeltà assoluta. Poi nel 1999, quando finì con l’Inter, mi voleva il Coventry: mi sentivo ancora in forma, ma poi arrivò Tele + ed eccomi in questa nuova vita".

Chi è il migliore con cui ha giocato?
"La tecnica in velocità che aveva Ronaldo non è di questo pianeta, ma il più grande è stato Lothar. Matthäus diceva “vinco” e vinceva. Gli suggerivo solo di farsi amare di più, come Maradona, ma aveva un altro carattere".

Ma come è possibile che uno come lei non sia mai stato nello staff o nella dirigenza Inter?
"Andando in tv, mi sono preso dei rischi: per qualcuno ero, sono e sarò troppo interista e per qualcun altro troppo... poco interista. Ma sono onesto intellettualmente, anche se tutti sanno per chi batte il mio cuore. Questo non mi ha aiutato, anche se due volte sono andato vicino al ritorno a casa: Facchetti voleva che fossi il vice di Cuper e poi Walter Sabatini mi convocò per parlarne, ma non se ne fece niente in entrambi i casi. Pazienza, anche se fuori, sono sempre dentro: è l’Inter stessa che è dentro di me, è la mia vita".

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Sezione: Copertina / Data: Dom 17 dicembre 2023 alle 10:33
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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