Profilo basso e lavorare. Mai come adesso mi risuona in testa il mantra di Andrea Stramaccioni, recitato ogni qualvolta esagerano nei complimenti o nelle richieste di vaticinio sui futuri trionfi. Certo, siamo tutti con il cuore oltre l’ostacolo della Samp, ma anche no. Come non ricordare questo avversario scorbutico, che ci mette regolarmente in difficoltà, e che addirittura, nell’anno del triplete, portò a San Siro uno degli arbitraggi più discussi e incredibili, per un epico 0 a 0, culminato nel gesto delle manette di Mourinho, finito persino sulle t-shirt. Ricordo misto a scongiuri di rito. Ma una cosa è evidente: stiamo tornando a un clima a tinte forti, che ci riguarda da vicino, anche quando i fatti misteriosi accadono altrove, come a Catania.
Provo a pensare che cosa avrebbe fatto un arbitro qualsiasi nel caso, del tutto improbabile (non l’ho mai visto) in cui l’intera panchina dell’Inter fosse corsa a urlare in faccia per contestare un gol (regolare o meno, fa poca differenza) appena assegnato alla squadra avversaria. Ci avrebbero stigmatizzato per giorni e giorni. L’arbitro avrebbe ammonito ed espulso giocatori, allenatori, preparatori atletici e accompagnatori. Nei programmi televisivi di mezzo mondo avrebbero gridato contro l’Inter, accusandola di vittimismo, di non saper perdere, di voler indurre sudditanza psicologica, se non peggio. Il mio non è un ragionamento astratto. E’ già successo per molto meno. Tanto che il presidente Moratti ha scelto opportunamente l’aplomb e l’ironia, glissando ogni volta su arbitri, ruberie, errori, espulsioni, fuorigioco e tutto il repertorio che ben conosciamo. Ora rischiamo di assistere a due partite, le prossime, con i nervi tesi, nella paura, non del tutto infondata, che la storia si ripeta. Quella storia che conosciamo bene per averla vissuta nel passato remoto e più recente.
Ma questa è una trappola nella quale non dobbiamo cadere. Sarebbe un delitto. Abbiamo tutto l’interesse a rimanere calmi e concentrati su di noi, sulla squadra, sui progressi che si stanno manifestando, sui risultati ottenuti in poco tempo. Immagino che Stramaccioni in queste ore stia facendo ogni sforzo per mantenere la concentrazione sulla partita di mercoledì sera. Sa benissimo che questa è la partita cruciale. Sabato sera si vedrà. Ma è qui e adesso che ce la giochiamo. Perché la Samp avrà un gran bisogno di uscire imbattuta dal Meazza e immagino una difesa a 9, con una punta vagante, pronta a scattare “sul filo del fuorigioco”… E poi perché la nostra nuova grande forza, quel trio centrale delle meraviglie (Samuel, Ranocchia, Juan Jesus) dovrà fare a meno proprio del baby rivelazione. Meglio così, qualcuno sostiene, visto che tornerà buono per la sfida di Torino. Ma sono certo che in questo frangente Strama lo avrebbe utilizzato volentieri. Da Bologna torna con ulteriori certezze. A centro campo abbiamo una ruspa di gran classe (Mudingayi), un fabbro dai piedi buoni (Gargano), alcune alternative di talento e di corsa (Obi, Guarin, Nagatomo, Pereira). La collocazione ubiqua di Cambiasso entrerà in un manuale del calcio moderno. Posso parlarne bene perché l’ho sempre fatto, ma accetto volentieri anche coloro che si cospargono il capo di cenere, ricredendosi dopo affrettate valutazioni da fine carriera. Il suo terzo gol al Dall’Ara, un colpo sotto, degno di Messi, è arrivato al termine dell’ennesima partita di sacrificio e di recupero palloni, che non ha impedito al Cuchu di scodellare una parabola incredibile sulla zucca di Ranocchia, per il primo gol. Quando Sneijder sarà nella forma adeguata al rientro, sono sicuro che Cambiasso avrà una collocazione diversa, ma non incompatibile con il più grande creatore di gioco della nostra rosa. Intanto rendiamoci conto che non ci ha fatto sentire la mancanza di Wesley, e scusate se è poco. Milito e Palacio, cuciti insieme, o in versione single, sono incredibili per serenità e voglia di far bene. Due campioni veri, classe e sacrificio, qualità e quantità. E Cassano, homo ridens, continua a rimanere umile e disposto a sacrificare il proprio ego in funzione della sua Inter. Di Handanovic non parlo. Parla già poco lui. Un mito. Di già.
Sarà sempre così? Difficile dirlo. Probabilmente no. Io credo onestamente che il laboratorio sia ancora nella fase della costruzione per prove ed errori. Avremo battute d’arresto, meno fortuna, meno bravura, senza contare gli accidenti indipendenti dalla nostra volontà. Ma questa squadra mi attizza, mi incuriosisce, mi piace. Uno dei miei giochi mentali preferiti è anticipare il momento dei cambi: come mi accadeva con Mourinho, anche adesso con Stramaccioni mi succede spesso di vedere che le sue scelte le avevo “chiamate” dentro di me qualche minuto prima. Non è che io sono diventato un mostro di bravura: molto banalmente, a mio parere, il mister fa le cose sensate, e le fa quando servono, al momento giusto. Non voglio riportare alla memoria altre situazioni ben diverse del passato, più o meno recente. Ce le ricordiamo tutti. Ma è importante sapere di potersi fidare dei giocatori e dell’affiatamento con l’allenatore.
A Torino, giusto per chiudere i miei calci e le mie parole, ero andato a seguire Juve-Inter dell’ultimo campionato. Ricordo il primo tempo, notevole per qualità e quantità, meritavamo di chiuderlo in vantaggio. Poi la resa, quasi senza combattere. E dopo quella partita arrivò il cambio in panchina.
Eppure tornai verso casa stranamente sereno (dopo due ore di insulti a chiunque fosse vagamente nerazzurro), pur non avendo ancora a disposizione la notizia dell’arrivo di Stramaccioni. Era una sensazione precisa. La svolta, quella giusta, stava arrivando. Forse la Juve dovrà davvero pentirsi di averci battuto quella sera. Ma questo è un altro film. Lo racconteremo più avanti.
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