Intervenuto alla Gazzetta dello Sport, l'avvocato Mattia Grassani ha provato a fare chiarezza sulle possibili ricadute legali che un'eventuale positività al Covid-19 di un tesserato potrebbero subire i club di Serie A.

Tutela sanitaria dei calciatori e di tutto il personale nel periodo degli allenamenti e della futura ripresa agonistica: dove finisce la responsabilità del medico sociale, di quello del lavoro e del club?
"Questo è il vero casus belli. Partiamo con il dire che i club sono sempre e comunque responsabili della corretta predisposizione degli strumenti di lavoro, dell’individuazione di idonei ambienti in cui svolgere la preparazione nonché delle metodiche di allenamento del gruppo. Sarebbe, quindi, molto complicato riuscire a dimostrare l’assenza di responsabilità per Covid-19 in un eventuale giudizio".

L'Inail ha stabilito che il Covid è una malattia del lavoro e questa aumenta le responsabilità per i club. Si può arrivare a una 'nuova idoneità agonistica'?
"La soglia di attenzione delle società prima di ricominciare l’attività dovrà essere massima. Nel calcio l’idoneità prevista dal D.M. 18/02/1982, di norma, vale per una stagione ma nulla impedisce, vista l’eccezionalità del momento e l’invasività del male, di sottoporre i componenti della prima squadra a una moltitudine di accertamenti mirati alla valutazione delle condizioni dal singolo. Tanto prima dalla ripresa quanto durante. Potrebbe, a questo proposito, risultare molto utile la creazione di un “Passaporto Covid-19”, documento individuale sanitario, integrativo della scheda di cui al D.M del 1982, sul quale annotare ogni indagine, comportamento, situazione e reazione ritenuti utili per combattere l’emergenza virus. Aiuterebbe i medici sociali, le autorità di controllo, e i diretti interessati".

Sezione: Rassegna / Data: Dom 26 aprile 2020 alle 11:10 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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