Ieri è stato il suo ultimo giorno alla guida del settore giovanile dell'Inter. Dopo 33 anni di carriera coi nerazzurri di Milano, Roberto Samaden si appresta a diventare nuovo responsabile del vivaio dell'Atalanta. Dopo le parole di quest'oggi a Sky Sport, Samaden ha parlato anche alla Gazzetta dello Sport, dove ha raccontato le sue emozioni: "Cosa ricordo del primo giorno all'Inter? Ricordo l'ingresso nello spogliatoio insieme a quelli che erano stati i miei idoli: Marini, Graziano Bini, Giavardi, Tagnin, Enea Masiero erano gli altri allenatori del settore giovanile e poi c'ero io al quale era stata affidata la formazione Esordienti. Conobbi Benito Lorenzi e Peppino Prisco. Per me che ero sempre stato interista, fu come entrare in un sogno".
Questi alcuni dei passaggi più importanti:
Come sono stati quei 16 anni da tecnico all'Inter?
"Divertimento puro. Ho sempre lavorato con ragazzi piccoli, dai Pulcini agli Esordienti fino al primo anno dei Giovanissimi, ma è stato bello e gratificante".
Quanti ragazzi in prova ha valutato?
"Tanti e tra questi c'era anche Antonio Cassano".
Non lo avrà mica bocciato?
"No, anzi conservo ancora la relazione con il giudizio positivo: lo volevano tutti i grandi club e il Parma era stato vicino a prenderlo, ma alla fine Antonio decise di restare a crescere a Bari e questa probabilmente è stata la sua fortuna. Già a quell'età si vedeva che aveva un talento cristallino: in pochi allenamenti e in un torneo fece cose meravigliose, che i compagni neppure potevano immaginare".
La vera svolta della sua carriera però è datata 2006.
"Piero Ausilio, altra figura centrale per me, mi tolse dal campo e mi aprì una carriera come dirigente. Quando mi comunicò la scelta non ero contento, ma poi ho capito: diventai responsabile della pre agonistica del settore giovanile. Visto come è sempre stato lungimirante, Piero sapeva già che avrei potuto essere il suo successore. E nel 2010 divento responsabile del settore giovanile, un ruolo che in quegli anni nei grandi club era affidato ad ex campioni o a ex bandiere delle società. Ausilio portò avanti la sua idea e mi propose al dottor Massimo Moratti e il presidente avallò questa 'pazzia'. Gli sarò eternamente riconoscente per avermi dato la possibilità di vivere il progetto Inter Campus e questo ruolo di responsabile, ma anche per essere venuto alla cena che ho organizzato qualche giorno fa per i 130 colleghi e amici con i quali sono stato insieme in tutti questi anni".
Cosa prova vedendo Dimarco ancora all'Inter, lui che è stato un prodotto del vivaio?
"È un orgoglio. Spero e credo che rimarrà a lungo perché ha fatto tutta la trafila delle giovanili ed è... interista sfegatato. Sa quanti gol ha segnato Bonazzoli con i suoi cross? Dai Pulcini alla Primavera lo schema era sempre quello...".
Qual è il segreto per scoprire da bambini i vari Dimarco, Bonazzoli e tutti gli altri?
"Grazie a Giuliano Rusca, che abbiamo portato via al Milan: in 26 anni ha trovato tantissimi talenti, tutti ragazzini di 7-8 anni nei quali ha visto qualcosa di speciale, sbagliando pochissime volte. Fondamentale è stato anche il lavoro di Beppe Giavardi e Paolo Manighetti, per quel che riguarda lo scouting, e di Daniele Bernazzani come capo degli allenatori".
Tra le figure che in questi anni hai sempre nominato c'è anche il compianto Pierluigi Casiraghi.
"Di Casiraghi ho un ricordo importantissimo: è stato uno dei miei mentori, mi ha cresciuto, mi ha insegnato tanto, soprattutto a ricoprire questo ruolo senza dimenticare i valori che uno deve avere dentro e contornandosi di persone capaci, non di amici".
Lei tiene quello dei giocatori che ha aiutato a esordire in Serie A?
"No perché ricordo tutti i miei ragazzi, anche quelli che non sono diventati dei calciatori".
Mettiamola così: se dovesse indicarne uno solo per un motivo particolare, chi sceglierebbe?
"Tra i tanti dico Michele Di Gregorio per tutte le sfortune che ha avuto nella fase iniziale e per come le ha superate".
La vittoria più importante qual è stata?
"Non uno scudetto, ma il recente premio dell'ECA per il progetto Educational ovvero la formazione fuori dal campo dei nostri ragazzi".
Tra le tante, qual è l'esperienza che gli è rimasta dentro?
"Sicuramente la possibilità di lavorare con José Mourinho. Nei due anni della sua permanenza all'Inter mi è stata affidata la gestione del ritiro pre campionato ed è stato molto stimolante".
Ha il rammarico di non aver preso un giovane che aveva in pugno?
"Più di uno, ma non sempre è stata colpa nostra. È normale pensare a Gigio Donnarumma che era venuto da noi: lo volevamo a tutti i costi, ma, nonostante fossi andato a casa sua, con la sua splendida famiglia ha fatto una scelta diversa".
Perché è arrivato il momento di dirsi addio con l'Inter?
"Non credevo che avrei mai lasciato questo club perché da sempre è casa mia: da bambino tifavo per l'Inter e la società per me è stata come una famiglia. La decisione di andarmene è maturata dentro di me naturalmente, al termine di una grande esperienza. Dopo tanti anni, ho valutato l'idea di provare un'esperienza in un ambiente diverso. Il club ha cercato di convincermi a rimanere, ma avendo il contratto in scadenza, ho optato per una nuova esperienza. Il cambiamento è fonte di miglioramento".
Cosa lascia Samaden?
"Un grande ambiente che non ho costruito da solo, un posto incredibile a livello di valori umani. Non smetterò mai di ringraziare per ciò che abbiamo fatto le persone che in questi anni sono state con me. Credo che all'Inter ci sia una struttura dove i ragazzi possono crescere serenamente. Le vittorie ottenute sono la conseguenza di tutto questo".
Se avesse potuto scegliere un addio all'Inter, come l'avrebbe immaginato?
"Avrei voluto concludere con uno striscione della Curva Nord, con una cena carica dell'affetto insieme ai colleghi e agli amici di tanti anni e con uno scudetto, magari vinto da un allenatore che era stato mio giocatore".
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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