Ha chiesto continuità e continuità ha trovato Simone Inzaghi, che nella seconda uscita europea stagionale, la prima sotto il pubblico di uno straordinariamente non sold-out Meazza, raccoglie i primi tre punti continentali, dopo il già importante ottenuto in casa del City. Il ko col Milan è stato un incidente di percorso, almeno questo sembra suggerire la strada imboccata una settimana dopo un passo falso che non sembra aver fatto perdere convinzione a giocatori e allenatore in primis. Quest'ultimo premiato ieri per estro ragionato, al contempo raccogliendo segnali da non sottovalutare e che piuttosto confermano quanto già emerso dalle 'puntate' precedenti: il tanto lavoro ancora da fare. Verdetto che vale per l'allenatore quanto per i calciatori che vantano sì un poker che vale una buona classifica, 'aggiustata' anche dalla differenza reti, dato non tenere sotto gamba tenendo conto del nuovo format della competizione, ma che conoscono a pieno le difficoltà e gli sprechi dei quali devono rispondere. Errori, rammarichi, rimproveri e suggerimenti urlati si alternano ad audacia, convinzione, buona gestione, buone prestazioni e gol ritrovati che fanno della cena servita dai campioni d'Italia un'immersione in un mix di sapori forti, freschi, a tratti piccanti, acri, dolci e contrastanti.
AUDACIA, CONVINZIONE, E CORDE VOCALI... Il piacentino accoglie i serbi con un'altra combinazione d'interpreti mai proposta, undici mai rodato, quantomeno pubblicamente, e che come tale impiega qualche giro d'orologio di troppo prima di ingranare. Al 45' aleggia difatti una sorta d'insoddisfazione, un retrogusto amaro che quel non so che di mancante al tabellino lascia. Sensazione alla quale rendono giustizia i dati che ai campioni d'Italia mandano segnali di inequivocabili dettagli da correggere che fanno di questa rosa una copia persino potenzialmente migliore di quella dello scorso anno, ma ancora tutt'altro che vicina. Versione migliore di sé che i nerazzurri non hanno ancora raggiunto come attestano le diverse, tante, occasioni da gol non capitalizzate nella prima tranche di gioco. Prima parte che si conclude con l'1-0 infatti a favore dei padroni di casa che mettono però a registro anche due gol annullati per offside e rischiano di metterne almeno altri due-tre che Arnautovic e Mkhitaryan sprecano clamorosamente. Scelte ed errori tecnici che fanno dimenare più di qualche volta Inzaghi, non esattamente tranquillo nei primi trenta minuti di gioco almeno, durante i quali il piacentino ha parecchio messo a dura prova le sue corde vocali.
VOCE che torna normalizzarsi con il crescere di feeling e automatismi che sbocciano nel secondo tempo ma che danno buoni segnali, seppur a sprazzi, anche nella prima frazione di gioco. Buon approccio, aggressivo e confidente, degli italiani che sbarrano le vie che portano a Sommer che non prova nessun vero brivido quantomeno fino alla prima mezz'ora. Vibrazioni diverse per la squadra di Milojevic, freddata per la prima volta al quarto minuto con l'insaccata di Arnautovic, ma l'evidente fuorigioco dell'austriaco grazia i belgradesi per... sei minuti, fino all'improvviso lampo del treno armeno, tornato a lucido per l'appuntamento contro i campioni serbi (e tra i migliori in campo), che rimembra ai più una delle ragioni per le quali è l'uomo di cui Inzaghi non farebbe mai a meno. Esperienza, qualità e tecnica regalano ai meneghini una punizione che consegna ad Hakan Calhanoglu il brivido, di natura differente, di tornare a cavalcare un vecchio cavallo di battaglia. Il turco ritrova il gol, dopo il primo stagionale contro il Lecce alla seconda di campionato a fine agosto, e lo fa in quella che era la sua specialità 'tedesca' e che in Italia, e all'Inter nella fattispecie, non ha ancora trovato tradizione: Gran parabola disegnata dai venti metri su punizione, che Krunic sfiora leggermente rendendola velenosa e impietosa per il povero Glazer che nulla può su precisione e potenza del 20 della compagine di Milano. 'Idolo neroblu' intona la Nord, tornata a cantare a gran voce al netto dell'atipica monocromia dovuta all'assenza di bandiere e striscioni e un San Siro non gremito ma indomo al gol di Marko Arnautovic, altro vecchio e tormentato cuore nerazzurro che s'inchina doverosamente al signore in panchina per la fiducia e al popolo al quale si sente in dovere di dare ancora qualcosa, in una storia d'amore che fin qui sa d'incompiuta, chiudendo un cerchio che ieri sera gli regala pace.
PACE, LIBERAZIONE E ATTACCO RITROVATI (?) È ancora nitido negli occhi di tutti e ancor più nel cuore dell'8 dell'Inter quell'Atletico-Inter, ultimo match di Champions della stagione scorsa, finito con un 1-0 che sapeva di beffardo per le occasioni non capitalizzate che facevano dell'ex Bologna il colpevole più grande e che non lasciava troppo tranquilli in vista di un ritorno al Metropolitano rivelatosi poi fatale. Chissà come sarebbe andata se Arna... Pensiero probabilmente ricorrente anche nel ragazzone scatenato sul pullman in quel 28 aprile che eclissò tutto senza cancellare nulla. Lo sa Marko e lo sa Simone che alla prima della nuova stagione dona al ragazzone paziente e mai capriccioso, oggi tanto sprecone quanto generoso e dedito, il compasso per chiudere un cerchio aperto in quel 20 febbraio scorso. Assist che l'attaccante stavolta insacca metaforicamente e non, guadagnandosi una standing ovation al momento del passaggio del testimone al capitano che rende un respiro che sa di pace. Inzaghi dirige e Taremi esegue perché se l'assistman del gol di Arna è il piacentino, quello del raddoppio della Beneamata è l'indomabile Re di Persia, tornato titolare dopo Manchester e in assoluto mvp di una gara che infligge agli avversari graffi che segnano la squadra di Milojevic con due assist e una rete. All'ultimo passaggio decisivo per il 2-0 replica con un ulteriore cioccolatino che Lautaro, da poco entrato, fa piacevolmente gustare ai suoi tifosi finalmente riaddolciti dal loro capitano, nella seconda partita consecutiva in gol dopo una lunga assenza dall'esultanza in mezzo alla sua gente. Sembra la sera della liberazione per una squadra che riassapora persino il gusto di vedere a segno tre su tre dei cinque attaccanti schierati, scrollandosi dall'imbriglio di più di un paio di tabù. Una cena dai sapori forti, freschi, a tratti piccanti, acri, dolci e contrastanti, ma nel complesso interessanti quella cucinata ieri sera dal Demone, tornato a cucinare in soli 95 minuti vari piatti di una cena finita col concludersi con tocco e amalgama finali che hanno fruttato un bottino valso, esattamente come il numero di gol segnati e i punti in classifica, la bellezza di quattro Stelle... ma comunque Rosse. Come il colore di un semaforo che prima di diventare definitivamente verde nella strada per la lunga scalata verso il titolo di Master ha ancora qualcosa da aggiustare.
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