Esteban Cambiasso si confessa. Dagli esordi alla Champions League con l'Inter, passando per i momenti più importanti della sua carriera. Il Cuchu parla a cuore aperto, raccontando incontri e episodi che testimoniano il suo amore per i colori nerazzurri. Il suo contratto scade nel 2014, si parla di un possibile rinnovo a cifre più basse. Ma all'Inter vuole restare, lo dice chiaramente. FcInterNews.it vi propone questa lunga intervista al centrocampista, rilasciata a una rivista argentina. 

Massimo Moratti ha un debole per gli argentini, è vero?
"Credo che in Italia, in generale, i giocatori argentini siano molto considerati. L'Inter ha una storia particolare con gli argentini, a partire da Helenio Herrera, l'allenatore della 'Grande Inter'. Con il tempo, forse la nostra è potuta diventare la seconda 'Grande Inter'. Nell'Inter di Herrera c'era Angelo Moratti, il padre di Massimo, che aveva 18 anni ed è cresciuto con una squadra cn un tecnico argentino. Questo ha influito. Come anche è stato decisivo il fatto che Zanetti sia stato il primo acquisto della sua gestione. Se Pupi avesse fatto male, per gli argentini venuti dopo sarebbe stato più difficile. Poi, credo che sia stato merito di tutti, siamo piccoli ambasciatori del nostro paese".

Com'è Moratti nella vita di tutti i giorni? Parla con i giocatori?
"Sta con la squadra un allenamento alla settimana. Viene a vedere l'allenamento o a mangiare con la squadra. E' molto vicino ai giocatori, cerca sempre di essere presente, soprattutto quando uno ha problemi non legati al calcio. La cosa che più mi ha impressionato è la sua umiltà, non comune in questo ambiente. Soprattutto considerando che non è solo il presidente, ma anche il proprietario del club. L'umiltà si vede nel modo in cui tiene l'autorità, di cui non abusa mai. Ti parla sempre con belle parole. Si arrabbia, come tutti, ma non l'ho mai visto mancare di rispetto a qualcuno.

Hai un'idea di quando smetterai di giocare?
"Ora non ho scadenze, uno deve vedere come si sente, che possibilità ha, cosa vince e fare un bilancio".

E' nei tuoi piani tornare in Argentina?
"Questo non si sa mai. Non è nei miei programmi, ho un anno e mezzo di contratto con l'Inter, però il calcio è mutevole".

Se dipendesse da te, in che squadra giocheresti da qui alla fine della carriera?
"Nell'Inter".

Pensi di ereditare l'eredità di Zanetti?
"E' più probabile che Pupi smetta dopo di me. I giocatori passano e lui continua a giocare nell'Inter (ride)".

Come ti spieghi fisicamente Zanetti?
"E' soprannaturale. La cosa più sorprendente non è tanto quanto corre in partita e negli allenamenti, cioè moltissimo, ma la sua velocità di recupero. Quelli che studiano queste cose assicurano che in questo campo non ha rivali".

Cosa ne pensi di Palacio?
"Rodrigo è un giocatore completo, capisce il gioco come pochi attaccanti, gli piace giocare al limite del fuorigioco, cerca sempre lo spazio senza palla e segna molti gol. E' anche generoso, perché non esita a fare un assist quando può segnare. E' una caratteristica che mi piace molto nel calcio. Palacio è uno dei migliori attaccanti con cui abbia mai giocato".

E' vero che la Juve è favorita dagli arbitri?
"Oggi ci sono voci e niente di più. In altri tempi però successo ed è stato dimostrato dalla giustizia. E' stata una pagina della storia del calcio italiano che per fortuna è finita. Oggi tutti si lamentano perché alla grandi squadre danno i rigori, ma le grandi vanno di più nell'area avversaria rispetto alle altre, per questo ci sono più possibilità che capiti un rigore rispetto a chi non attacca mai".

Perché sei rimasto all'Inter per così tanti anni?
"A volte le situazioni si creano. Sono venuto qui con la sfida di raggiungere risultati importanti, che mancavano a questo club. A parte l'ultima stagione, abbiamo sempre vinto almeno un titolo e anche molto più, come nell'anno del Triplete, nelle sette precedenti. Raggiungere i risultati ti dà soddisfazione. E qui sto molto bene e sono molto felice".

Contro il Barcellona al Camp Nou avete pensato solo a difendervi?
"Queste partite a eliminazione diretta durano 180 minuti, e qui l'Inter ha fatto tre gol al Barcellona. E li abbiamo fatti quando stavamo perdendo. Fino ad allora, nessuno aveva mai fatto tre gol al Barcellona di Guardiola, nessuno aveva ribaltato così una partita. Al ritorno sono successe tante cose, ma ribadisco il concetto: queste partite durano 180 minuti. Se uno vuole fare l'analisi solo di metà, è un'altra cosa…".

Ti vedi al Mondiale 2014 o è impossibile?
"Impossibile non credo, giocando in una squadra come l'Inter. Se resto a un buon livello, avrò sicuramente delle possibilità. E' normale che Sabella stia provando un gruppo e sono contento che vada bene. Se non sono giocatore della Selecciòn, sono tifoso. Sabella è stato qui due volte per vedere giocatori, abbiamo parlato".

Il giorno più triste e il più felice nella tua carriera?
"Il più triste, quello della eliminazione contro la Germania nel 2006. Il più felice, il giorno dopo la vittoria della Champions con l'Inter e quindi del Triplete. Il 22 maggio abbiamo vinto la Champions, il 23 mio fratello è stato promosso nella prima divisione del campionato argentino con l'All Boys".

I migliori amici nel calcio?
"Allora, i miei 'fratelli' Milito, Pupi, Ariel Montenegro, Diego Forlan, Mariano Pernìa e altri che adesso mi sto dimenticando".

I tre giocatori più forti con cui sei stato su un campo di gioco?
"Messi, Zidane e poi tutti gli altri".

L'avversario più difficile da marcare?
"Kakà. Sembrava che andasse con un passo continuo e poi ti fregava con un'accelerazione".

Chi voteresti ora per il Pallone d'Oro?
"Dopo che Diego Milito non è stato tra i finalisti del 2010, per me il Pallone d'Oro ha perso credibilità. Uno che decide una Champions con due gol, che vince il Triplete e che segna in tutte le finali, merita di stare almeno tra i finalisti".

Cambio la domanda: chi sono i tre migliori giocatori del mondo in questo momento?
"C'è Messi, poi gli altri nettamente distaccati".

Qual è il meglio e il peggio di Mourinho?
"Il meglio è averlo dalla tua parte. Il peggio è affrontarlo. Chi lo affronta, soffre. E' difficile dire quale sia la cosa migliore che ha, perché un allenatore oggi deve sapere tante cose per imporre il proprio stile".

Mourinho spreme la squadra fisicamente e mentalmente? E quando se ne va, crolla...
"Io credo che dopo un anno in cui vinci tutto, è normale avere un calo. Perché le aspettative sono di rivincere tutto e le energie sono meno. Non è un discorso da fare solo di Mourinho, ma di qualsiasi allenatore. Il Barcellona, ad esempio, che è la migliore squadra della storia, non ha potuto vincere due Champions di fila con Guardiola. E' difficile avere continuità di risultati, al di là di Mourinho. Noi abbiamo vinto il triplete, il quarto scudetto consecutivo ed è normale che un gruppo che ha vinto tutto abbia un calo".

Però si dice che Mourinho arrivi a spremere la squadra a tal punto che poi resta in calo per un po'.
"Si dicono tante cose… Se Mourinho non ci avesse 'spremuti' il primo anno, poi non avremmo vinto tutto nel secondo. Per il tipo di condizioni che impone come allenatore, è difficile mantenere le stesse condizioni per gli allenatori che vengono dopo".

Hai visto in Mourinho caratteristiche che non hai visto in altri allenatori?
"Soprattutto la convinzione e il lavoro, che sono le cose più importanti nel calcio. Con Mourinho non esiste un lavoro che non sia con la palla, lui crede nel lavoro specifico di ogni giocatore rispetto alla sua posizione nel campo. Se arrivi da una pre season in cui corri chilometri e chilometri sul campo, di colpo arriva un allenatore che fa tutto in campo, è chiaro che si diverso. Non mi era mai successo. E mi è piaciuto, ovviamente, perché è una motivazione in più per il giocatore. E' importante, per Mourinho, una rosa che lo assimili presto e bene per farlo con intensità. L'intensità è uno dei suoi cardini".

E' antipatico come sembra da fuori?
"Un allenatore che si scontra quando deve scontrarsi, non è antipatico. Altrimenti non parlerebbero così bene di lui quasi tutti i giocatori che l'hanno avuto. In questo senso, ha un buon consenso".

Hai mai parlato con Guardiola?
"L'ho salutato di passaggio, ma purtroppo non abbiamo mai parlato".

Il miglior allenatore che tu abbia mai avuto?
"Ne scelgo tre, quelli che mi hanno fatto iniziare: Ramon Maddoni, Luis Andretto e Oscar Refojos".

E il peggiore?
"Non ce n'è uno. Il segreto di un allenatore è sapere trasmettere le sue idee. E dipende molto dal momento in cui ti trovi e dal momento della squadra. E' difficile, bisogna capirlo: ci sono 25 teste diverse".

E hai mai avuto discussioni con un allenatore?
"Alcune discussioni sì, ma scambio di opinioni tra persone che la pensano in modo diverso. Questo sì, ma non per esclusioni o sostituzioni. Con chi? Noooo, questa cosa me la tengo. Sono come i giocatori degli anni '70".

Cosa significa per te essere il giocatore argentino che ha vinto più titoli nella storia?
"E' un orgoglio, una grande soddisfazione. Soprattutto in un paese come il nostro, con tanti giocatori che hanno fatto la storia e che hanno vinto tanto. Però non li ho contati finché non mi hanno avvisato che avevo fatto questo record. Ma sarà un record passeggero, perché Leo Messi alla fine avrà più titoli di me. E' normale, è il migliore".

Se dovessi fare un podio scegliendo tra i 23 titoli che hai vinto?
"Senza fare bronzo, argento e oro, devo mettere il Mondiale Under 20 in Malesia, perché stava iniziando la mia carriera, la coppa Intercontinentale con il Real Madrid, perché è il punto più alto per un sudamericano, e la Champions con l'Inter, perché è stato il coronamento di tutto quello che potevamo vincere qui. Anche perché l'Inter è tornata a vincerla dopo 45 anni".

Qual è lo stadio che ti ha più impressionato?
"Ho avuto la fortuna di giocare in due squadre europee con gli stadi che mi sono sembrati i migliori: San Siro e il Bernabeu. Sono stati quelli che mi hanno dato l'impatto maggiore. Sono stadi costruiti solo per il calcio, senza pista di atletica e con le tribune più vicine".

Tra Argentina, Spagna e Italia, quali sono i derby più belli che hai giocato?
"Real-Barcellona ha un seguito mediatico come nessun altro. Però per tifo e clima sono più belli Inter-Milan e quelli in Argentina. In Europa, perdere un derby può voler dire perdere un campionato, perché sono squadre importanti in cima alla classifica".

Perché ti sei pelato?
"Mi sono pelato per la prima volta nel 2002, quando vincemmo il campionato con il River. Poi i capelli mi sono ricresciuti e sono tornato a essere pelato nel 2007, quando abbiamo vinto il primo scudetto con l'Inter sul campo. E poi per comodità sono rimasto pelato".

Dopo tanti anni di carriera, qual è il tuo ruolo?
"Mi definisco un giocatore che ha sempre giocato per la squadra. Non ho mai giocato dove volevo, ma dove mi metteva l'allenatore. Però guardate come sono le cose: in Argentina mi vedono come un volante offensivo, mentre in Italia sono considerato uno dei giocatori più tattici del campionato. Ovvero, stare attento in difesa quando la squadra attacca, aiutare l'attacco quando c'è meno potenziale offensivo. Di solito mi capita di giocare in squadre con un gran peso offensivo. Comunque, mi sento meglio più sono in mezzo al campo. Ho il campo di fronte, posso sfruttare la visione di gioco. Sulla fascia ho meno risorse, la velocità non è il mio forte".

In quali ruoli non hai mai giocato?
"Portiere e attaccante. Anche se in alcune partite, quando la mia squadra perdeva, finivo la partita giocando da attaccante. In realtà, ho alcune giocate da punta, si vede in alcuni gol che ho fatto. Comunque, in mezzo al campo ho giocato in tutte le posizioni del rompo, sono stato difensore centrale con la difesa a 3 e a 4. Ho giocato anche esterno, a destra e a sinistra. All'Argentinos giocavo difensore centrale di sinistra, poi mi hanno spostato a centrocampo".

Quindi non sei d'accordo con Borghi, che dice: "Un polivalente è uno che gioca male dappertutto".
"Ognuno ha la sua opinione. Per è importante saper giocare e mi sembra che chi sa giocare possa interpretare meglio i ruoli. E' normale che ci siano delle cose che uno sa fare meglio, però nel calcio di oggi le squadre cambiano modulo due o tre volte a partite e se non sai ricoprire più ruoli, diventa più difficile per la squadra".

Con l'Inter ha ricevuto solo 27 ammonizioni in 371 partite, nessuna espulsione. In pratica un giallo ogni 14 partite. Come mai così pochi cartellini pur giocando in un ruolo così delicato?
"Da ragazzo, tra giovanili e prima squadra, sono stato espulso tre volte. Due volte con l'Independiente, una con la Selecciòn. Cerco sempre di capire se posso arrivare o no sul pallone. Se ci arrivo, vado. Se no, per andare tanto per andare, non ci vado. Se non sei sicuro di arrivare sul pallone, hai tutto da perdere".

Per essere un centrocampista segni tanti gol, è un dato curioso.
"Di solito, credo seguo sempre l'azione fino alla fine. Grazie a questo, ho realizzato molti gol su ribattuta. Non do mai per finita l'azione, in attacco e in difesa, anche sulle respinte del nostro portiere".

E le tue esultanze? Sembra che dai la vita in ogni gol…
"Essendo un centrocampista, devo pensare molto all'equilibrio della squadra. Per questo quasi sempre quando segno la squadra sta perdendo o pareggiando. Quando stiamo vincendo, in generale esulto meno. Ma per chi vive il calcio con passione, come si fa a non esultare? Io esulto e lo faccio con la mia anima e la mia vita".

E' vero che all'inizio non ti piaceva il calcio?
"C'è gente a cui piacciono altri sport (ride). Era il primo impatto, perché la mia famiglia aveva giocato a basket e praticamente vivevo in un club di basket. Se uno nasce in un club ippico perché tuo padre sta lì tutto il giorno, è probabile che ami di più i cavalli dei cani, così è successo a me. Sono nato in un club di basket e credevo che quello fosse il mio sport. Avevo una grande passione per il basket, i miei genitori preferivano che giocassi a basket piuttosto che a calcio. Ho dovuto scegliere quando le partite nelle giovanili dell'Argentinos erano alla domenica mattina, nello stesso orario di quelle di basket. Ora mi piace di più il calcio, è la mia vita! Però mi piacciono anche basket e tennis. Sarei presuntuoso a dire che avrei fatto una carriera importante anche nel basket. Però quando ho smesso posso dire che giocavo meglio a basket che a calcio, mi consigliavano di non lasciarlo".

Cosa hai imparato dal basket?
"Probabilmente la visione d'insieme, panoramica. Perché un playmaker deve tenere sotto controllo i suoi compagni. E poi la coordinazione per saltare".

Sei nato a Villa de Parque, a Buenos Aires. Come ti ha cresciuto questo quartiere?
"Forte e sano, lo sport di squadra di insegna tutto. Per questo con Pupi abbiamo fondato in Italia una scuola calcio (i Leoni di Potrero, ndr) senza fini di lucro per trasmettere questo spirito. La vita di squadra ti dà appartenenza, è un posto sicuro".

Per questo avete fondato i Leoni di Potrero?
"Sì, è un'idea che mi è venuta parlando con Pupi in uno dei tanti 'asados' in famiglia. Volevamo ricreare l'ambiente di squadra, questo spirito. E' un progetto che dura da 5 anni, sono passati 200 bambini. E' una soddisfazione perché vediamo che i bambini crescono bene. Si chiama così perché entrambi siamo del segno del Leone, mentre Potrero ha a che fare con il nostro passato argentino. Ogni tanto io e Pupi passiamo a sorpresa, quando possiamo".

Per che squadra facevi il tifo da bambino e chi era il tuo idolo?
"Tifavo per l'Argentinos Juniors e in quell'epoca Fernando Redondo era un modello inevitabile. Ho avuto la fortuna di conoscerlo quando era in vacanza in Argentina. Il mio allenatore, Carlos Balcazar, mi disse: "Devi conoscere una persona". Avevo il suo poster in camera, me lo firmò. E' curioso, poi mi comprò il Real Madrid e ho fatto la pre season con Fernando e gli altri mostri sacri del Real".

Giochi molte partita a stagione, qual è il segreto?
"E' che vivo per questo. Qualsiasi attività che faccio al di fuori, che sia camminare o viaggiare, cerco che non mi pregiudichi in niente. Lo so che è una carriera corta. Mangiare bene è fondamentale. Con il ritmo che teniamo, è quasi più importante mangiar bene e dormire che allenarsi. E' proibito l'alcool, che non mi piace neanche. E poi poche bibite e cose da bere che non siano l'acqua".  

Cosa significa per te aver segnato il gol 'dei 25 tocchi' ai Mondiali 2006?
"E' stato uno dei migliori gol della mia carriera. Venivo da alcuni giorni difficili, il debutto contro la Costa d'Avorio fu durissimo. Degli undici del debutto, sono stato l'unico a essere messo fuori dalla formazione iniziale nella partita successiva. Poi Lucho Gonzalez ha avuto la sfortuna di infortunarsi e ho giocato in una posizione inedita per me, di mezzala destra. Così è il destino. E mi arrivò questo premio nel momento più inaspettato".

Ti ha sorpreso non essere convocato da Maradona per il Mondiale 2010 dopo la Champions con l'Inter?
"Mi sembra normale per come era andata, perché sono stato convocato una sola volta nella gestione Maradona. Non ho mai parlato con Maradona, né prima né dopo il Mondiale. Ma non credo che i tecnici debbano chiamarti per dirti di sì o di no. Se oggi incontrassi Maradona in ascensore? Lo saluterei. Come potrei non salutarlo se non mi ha fatto niente".

Messi è meglio di Maradona?
"Non si può sapere, però sta superando tutti i limiti possibile e immaginabili. Gioca 60 partite all'anno ed è strano che non faccia una doppietta. Messi ha tutto per essere il migliore della storia, oggi è difficile compararlo a Diego perché uno si è ritirato e l'altro no. Allo stesso modo, in due o tre anni, Zanetti sarà il giocatore più rappresentativo della storia dell'Inter".
 

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Sezione: In Primo Piano / Data: Ven 14 dicembre 2012 alle 08:30
Autore: Guglielmo Cannavale / Twitter: @guglicannavale
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