Se devi correre un rischio, tanto vale correrne più d'uno. Avranno pensato questo i 'Direttori' (parole e musica di Luciano Spalletti), accingendosi a un mercato a suo modo cruciale per gli esiti che può produrre, e insieme da portare a termine sventolando un portafogli vuoto. Pochi, pochissimi o forse nessuno accorreranno a Linate o alla Malpensa per i sempre più probabili sbarchi di Lisandro Lopez, Rafinha e Ramires: i tre profili, per motivi diversi, non attraggono, non sono tutti noti al grande pubblico e dunque meritano un approfondimento. Prima di addentrarci in una veloce analisi dell'apporto che i tre potranno fornire alla causa, è opportuno tirare un buon sospiro di sollievo in merito alle tempistiche.

Si temeva infatti che la dirigenza avrebbe concluso i suoi affari nelle ultime ore di questo gennaio, quando le pretese di chi ha da piazzare i suoi esuberi inebitabilmente giungono ai più morbidi compromessi; di conseguenza, anche chi è a secco di liquidità avrà migliori speranze di piazzare il colpo grosso. Ma non era questo il caso, non era questa la priorità. Sarà cosa buona e giusta se, come pare, i tre arrivi saranno conclusi entro tempi piuttosto brevi: c'è un Inter-Roma che incombe, c'è la necessità di reggere all'urto dei giallorossi e di provare a uscire dal guado, c'è l'urgenza di non presentarsi ancora con Santon adattato a centrale difensivo, qualora Miranda e D'Ambrosio dovessero inopinatamente dare forfait. Forse, insomma, l'attesa avrebbe potuto portare uomini di maggior nome e qualità, ma la digestione dei meccanismi di squadra da parte dei nuovi sarebbe stata inevitabilmente rallentata. Meglio così, allora: lasciamo dire al campo se l'apporto dei tre potrà esser minato da fattori quali la fragilità o l'ormai lontana confidenza col calcio che conta. Per ora, si può solo immaginare ciò che i tre potranno dare in base al loro percorso precedente, e a come questo può integrarsi con quanto mostrato sinora da Spalletti. Proviamoci.

Sul ruolo di Lisandro Lopez, poche storie. Il classe '89 argentino è un centrale e a Milano arriva da centrale, presumibilmente di scorta. Giunto al Benfica dall'Arsenal de Sarandì nel luglio 2013, è stato a lungo seguito da Ausilio e Sabatini, quando quest'ultimo faceva ancora gli interessi della Roma e, nuovamente, nella scorsa estate di mercato. Le ragioni di questa fascinazione, però, sono cambiate nel tempo: prima Lisandro piaceva perché giovane, quotato a livello internazionale e potenzialmente fortissimo; la sua parabola lusitana, però, è stata indubbiamente declinante, e ora l'argentino interessa in quanto esubero a buon mercato, obiettivo tutto sommato agevole. Giocatore di stazza e dotato di buoni fondamentali come sempre più spesso capita tra i sudamericani (coi nostalgici che rimpiangono la spietata ruvidezza dei Samuel), sa certo farsi valere sui calci piazzati, ma altrettanto spesso finisce per provocarli, incline com'è a un approccio -usiamo un eufemismo?- 'fisico' al gioco del calcio. Contenerne l'esuberanza sarà condizione indispensabile per presentarlo in campo.

Ramires, dalla sua, ha nome, credenziali e palmares. Che giocatore, il brasiliano, quando figurò tra i protagonisti dell'insperata Champions vinta nel 2012 dal Chelsea. Son passati cinque anni e mezzo, di cui due in Cina, e da qui giungono tutte le perplessità sul suo conto, oltre che dai problemi fisici che l'ex campione d'Europa ha accusato nell'ultima stagione col Jiangsu Suning. Cosa ci torna indietro, quando riportiamo in Europa un calciatore dalla Cina? L'esempio Paulinho-Barcellona incoraggia, altri casi invitano alle lacrime. Ramires, dal canto suo, ha discreti piedi brasiliani, ma ha sempre puntato tutto su una fisicità esplosiva e su una capacità di corsa fuori dal comune: è plausibile ipotizzare che, a trent'anni e alla luce di un agonismo non più spietato, l'impatto di tali qualità si sia affievolito, ma questa squadra difetta certamente di esperienza, gestione e quel pizzico di voce grossa che non in molti possono permettersi di fare. Dalla sua, anche la duttilità: Ramires nasce interno di gamba e qualità, ma le sue doti aerobiche hanno spesso indotto i suoi tecnici a dirottarlo sulla destra. Difficile che Spalletti lo adoperi per dar fiato a Candreva, dal momento che tale collocazione sarebbe troppo poco qualitativa anche per un 4-2-3-1 abbastanza privo di genio com'è quello nerazzurro. A centrocampo, però, serve lucidità, gestione della palla che esce dalla difesa (se non si vuol continuare ad affidare il peso dell'impostazione al solo Skriniar) e, insieme, un po' di corsa e qualche calcio. Ex giocatore? Novello Lazzaro come Paulinho? Nel dubbio, portiamolo a casa più che volentieri.

Infine Rafinha, coi suoi problemi al menisco misteriosamente lunghi, una degenza durata fino allo scorso mese di dicembre, la sua naturale tendenza al guaio fisico e quel pizzico di sfiga che lo ha incoronato come il fratello 'scarso' del fenomenale Thiago. Rafinha, però, era una promessa, e a suo modo è adesso una bella realtà. Al termine di un corpo da torello, gli hanno montato un sinistro di prim'ordine, con cui curiosamente si diletta di frequente in intelligenti cambi di gioco. Il suo portamento granitico gli ha concesso spesso di andare a prendersi il pallone nelle retrovie, e l'unione di qualità e quantità è certamente la sua dote migliore. Non ignora dove sia la porta avversaria, come dimostrano le 34 reti siglate in 195 partite: nel 2012/13, Rafinha arrivò addirittura a 10 marcature, ma era nel Barcellona B a giocarsi la sua chance in Segunda. Nei blaugrana ha poi giocato perlopiù basso, ma il Barcellona è il Barcellona, ha il suo modulo e la sua tradizione. Probabile che dalle sue doti fisiche e tecniche Spalletti possa filtrare con buona approssimazione quel profilo di trequartista-guastatore che cerca da tanto, curioso -se ci sarà- il tentativo di metterlo davanti a destra, per sfruttare il movimento a rientrare sul piede mancino che sarebbe un unicum ben accetto per la rosa nerazzurra. Rafinha, in quel ruolo, ci ha giocato 26 volte, trovando il gol in ben 7 occasioni, di cui 3 nella scorsa annata. Ne segnasse 3-4, fino al termine della stagione, il colpo diverrebbe colpaccio.

Son tempi di vacche magre, e questo gennaio ci costringe a far le pulci agli acquisti, soppesandoli e scrutandoli da vicino per capire cosa potrà esserne del loro impatto su questo mondo complicato. Son scommesse, chi più chi meno, in cui si è lanciato chi non poteva far altro che scommettere. In quest'ottica, appunto, è condivisibile il tentativo di farne più d'una. Steccarle tutte appare improbabile.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 12 gennaio 2018 alle 00:00
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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