Inter-Juve è cominciata con cinque giorni d'anticipo rispetto alla sua disputa grazie a un inaspettato scambio di battute a distanza tra Leonardo Bonucci e Beppe Marotta. Il prologo del match di San Siro è andato in onda martedì su Amazon Prime Video, quando uno dei senatori della Vecchia Signora, forse colui il quale ne incarna meglio il famoso 'stile', ha ripensato alla scorsa stagione, quella in cui la squadra di Antonio Conte ha spezzato l'egemonia nazionale dei cannibali bianconeri dopo nove scudetti di fila: "Anche se abbiamo vinto due trofei (Supercoppa italiana e Coppa Italia ndr), purtroppo non abbiamo ottenuto lo scudetto soprattutto per colpe nostre più che dei meriti di chi poi ha vinto, che pure ha fatto una grande stagione”, le parole del difensore della Nazionale italiana.

Discorso molto chiaro, lontano anni luce dal concetto di sportività che è sempre più introvabile dentro e intorno un campo di calcio. Il fatto di riconoscere la superiorità degli avversari è merce rarissima ormai, anche quando l'oggettività è persino scientifica. Sì, perché la Juve meno vincente dell'irripetibile decennio targato Agnelli è arrivata a 13 punti dalla prima in classifica, ha perso nettamente lo scontro diretto d'andata con i futuri campioni d'Italia e ha dovuto aspettare davanti a un cellulare il verdetto di Napoli-Verona per essere sicura della qualificazione in Champions League all'ultima giornata. A cui è arrivata aggrappata alla speranza del quarto posto solo dopo aver battuto Lukaku e compagni all'Allianz Stadium grazie a un rigore letteralmente inventato da Calvarese per un fallo inesistente di Perisic ai danni di Cuadrado. Senza quel regalo arbitrale, la Juve avrebbe probabilmente dovuto digerire la retrocessione in Europa League, una specie di legge del contrappasso per aver osato andare oltre le proprie possibilità economiche per assicurarsi Cristiano Ronaldo. Uno dei tanti 'what if' della storia dei derby d'Italia, sempre contraddistinti da veleni e polemiche che con Calciopoli sono usciti dalle piazze per finire nei tribunali.

La rivalità, se possibile, si è inasprita dopo la turbolenta estate del 2006 che condannò la Juve alla Serie B e diede il la al ciclo vincente dell'Inter aperto da Roberto Mancini, poi chiuso in gloria da José Mourinho col leggendario Triplete. In mezzo alle sentenze di tutti i gradi, le condanne e le reciproche accuse, ecco il famoso scudetto assegnato a tavolino. Quello che continua a creare divergenze di opinione tra la società torinese e la FIGC (per non dire il resto del mondo) riguardo alla conta dei campionati vinti: 38 contro 36, sì perché Madama si attribuisce anche quello revocatole del 2004-05. La spiegazione è tutta nell'espressione 'vinto sul campo', che è diventata negli anni un tratto distintivo. Al pari del motto fatto suo da Boniperti 'vincere non è importante, ma è l'unica cosa che conta', che poi sottende quel pensiero pericoloso secondo cui è lecito ogni mezzo pur di arrivare al risultato.

E quando non si riesce a vincere? Facile, basta ridimensionare il trionfo altrui ergendosi a giudici del merito sportivo, proprio come ha fatto Bonucci. La Juve vince perché lo merita o non vince per colpe sue, mai per la bravura di gareggia con lei. Senza scomodare Luciano Moggi, radiato a vita dal calcio per aver macchinato un sistema che assicurasse la certezza quasi matematica del successo, per fortuna continua a far fede la classifica stilata sulla base di ciò che succede nel rettangolo verde che dovrebbe mettere d'accordo tutti. Come succederà domenica verso le 22.40, quando capiremo chi può veramente definirsi da scudetto, checché ne dica Bonucci. Al quale Beppe Marotta ha risposto con il sorriso parlando ai microfoni di Mediaset: "Leo è molto abile, questa sua affermazione non può fare altro che stimolarci maggiormente".

Ecco, lo stimolo che era mancato a maggio: all'epoca, l'Inter già sazia di una vittoria attesa dieci lunghissimi anni non ebbe la cattiveria giusta per 'ammazzare' sportivamente la rivale di sempre. Ora, cinque mesi più tardi, si ripresenta un'occasione ghiottissima: battere Allegri significherebbe rimandarlo a -6 e tagliarlo praticamente fuori dalla corsa al titolo già dopo nove giornate. Indubbiamente un merito, senza bisogno di conoscere il parere di Bonucci.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 21 ottobre 2021 alle 00:01
Autore: Mattia Zangari
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