La domanda ricorrente nel post-gara di Cagliari ai protagonisti nerazzurri è stata: "Quale gara vorresti rigiocare se potessi?". Un modo come un altro per mettere il dito nella piaga, per capire se all'interno del gruppo si annidasse il germe del rimpianto per uno scudetto che ormai sembra perso. Il Milan, infatti, non perde un colpo. I rossoneri continuano a vincere spesso sul filo degli episodi, gare che – a parte rare eccezioni – sarebbero potute terminare anche con un risultato di segno opposto. La squadra di Pioli non ruba l'occhio, non crea tantissimo, ma ha l'enorme pregio di farsi bastare lo stretto necessario per portare a casa la pagnotta e mantenere il vantaggio sui rivali. E pazienza se non si parlerà per mesi della clamorosa svista di Orsato contro l'Atalanta come avvenuto in passato per casi analoghi ma a sfavore dei milanisti: abbiamo capito da anni come funziona la narrazione calcistica in questo Paese.

L'Inter di Simone Inzaghi è l'esatto opposto. Domina spesso e volentieri gli avversari, li tramortisce con una manovra articolata e spettacolare, portando tantissimi uomini in fase offensiva, ma poi concretizza troppo poco e capita di penare fino al 90' su risultati incredibilmente ancora in bilico vista la differenza di gioco espressa. A Cagliari l'ultimo esempio, l'esatta fotografia di una stagione condensata in 90 minuti. Da qui l'idea generale di un'Inter superiore ai cugini e, per questo, colpevole di aver perduto l'occasione di bissare il successo di un anno fa.

E così via ai paragoni con Conte, totalmente fuorvianti e miopi: che senso ha immaginare questa squadra con il leccese al timone? Una realtà parallela buona per il bar, non certo per un'analisi seria delle vicende nerazzurre. Inzaghi ha commesso errori? Senza dubbio. Ma il piacentino è un allenatore giovane, alla sua prima esperienza in una big. Il suo lavoro va valutato a tutto tondo ed è francamente impossibile non vederne i meriti. Chi lo fa, evidentemente, o è in malafede o ha dimenticato in quali condizioni Inzaghi aveva preso l'Inter in estate. Una squadra scudettata, certo, ma nel bel mezzo del marasma Suning e di un conseguente ridimensionamento tecnico. Se poi sul campo i nerazzurri si sono confermati competitivi in Italia e addirittura ad altezza Liverpool in Europa non è certo per grazia ricevuta, ma per merito di chi ha saputo trarre il massimo (o quasi) da questo gruppo.

Bologna tappa decisiva? Indubbiamente il passo falso nel recupero del Dall'Ara (partita che in un sistema normale sarebbe dovuta finire 0-3 a tavolino, giova ricordarlo) ha inciso sulla classifica, ma non più del pari di Genova con la Samp di inizio settembre, del rigore sbagliato da Dimarco in casa con l'Atalanta all'86' o del salvataggio di Biraghi con la Fiorentina al 90'. Il ko con il Bologna resta negli occhi perché è solo l'ultimo scivolone in ordine di tempo, ma il campionato è iniziato ad agosto e non il 27 aprile.

In bacheca ci sono Supercoppa e Coppa Italia, giustamente rivendicate da Inzaghi così come l'ottimo percorso in Champions: l'allenatore evidenzia spesso questo aspetto per sottolineare in maniera immediata quello che a suo dire è stato un compito svolto in maniera quasi perfetta. Peccato che probabilmente alla lista mancherà la portata principale del menù, ossia la seconda stella. Un traguardo senz'altro possibile, alla portata dei campioni in carica. Ma questo è lo sport. Questo è il calcio. Vanno riconosciuti anche i meriti all'avversario di turno, che in questo caso è il Milan. Evitateci la caccia alle streghe.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 17 maggio 2022 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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