Quando l’Inter comunicò il suo arrivo come nuovo allenatore, personalmente venni colto da un lampo di bonaria e indulgente ironia. Questo per via dell’immagine di copertina usata per l’annuncio, dove la sua testa pressoché glabra appariva quasi circondata da quella che sembrava una sorta di aureola, una luce speciale che ne illuminava il volto sorridente. Del resto, si poteva pensare sin da subito, per accettare una sfida come quella di raccogliere l’Inter in quel determinato momento storico dove non si riusciva a vedere oltre il cumulo di macerie della scellerata gestione estiva e autunnale, ci voleva la pazienza di un santo. E incredibile ma vero, Stefano Pioli questa pazienza non solo l’ha avuta, ma è stato anche capace di usarla per un’impresa che nemmeno qualche settimana fa sembrava impossibile: ribaltare come un guanto l’andamento dei risultati, le prospettive stagionali della squadra nerazzurra, soprattutto l’umore generale di tutto l’ambiente. Ricordando i presupposti coi quali Pioli è arrivato dal suo buen retiro di Parma, per non essere blasfemi parlando di miracolo, di certo si può parlare di impresa quasi ercolina.
Il weekend appena concluso è stato in questo senso la sublimazione di questo deciso cambio di rotta dell’Inter: perché non è arrivato solo il successo contro il Pescara, ma soprattutto sono giunti dei risultati dagli altri campi che hanno portato i nerazzurri ad un passo da quello che sembrava un vero e proprio miraggio, quel terzo posto dato per irrimediabilmente perso nemmeno troppo tempo fa. Certo, nulla è ancora fatto, la stagione è ancora lontana da venire e ci vuole un attimo per scivolare su una buccia di banana e mandare tutto a carte quarantotto. In questo senso, fa benissimo Pioli a dire che si può ancora migliorare e che soprattutto si deve andare ancora avanti partita per partita. Ma non si può negare come quanto sin qui fatto dal sostituto di Frank de Boer sia stato qualcosa quasi di magico. Pioli all’Inter non ha portato solo le sette vittorie consecutive in campionato, nove se consideriamo anche le coppe con la speranza di arrivare questa sera alla cifra tonda nel delicato match di Coppa Italia. La sua mano si vede anche in tante, tante altre cose.
Pioli ha riportato in primo luogo fiducia all’ambiente, partendo dalle cose più semplici; ha rispolverato quelle motivazioni che sembravano perdute facendo sì che un giocatore come Eder, che nel recente passato aveva mostrato il suo disappunto per una sostituzione adesso sa di non essere proprio in cima alle gerarchie del tecnico e allora decide di prendersi la briga di dare la carica ai compagni negli spogliatoi, incitando e istruendo, per poi entrare e dare il suo ottimo contributo a gara in corso. Ha poi ridato lustro a gente come Marcelo Brozovic, recuperandolo dallo status di emarginato, e come Geoffrey Kondogbia ormai dato da tutti come irrimediabilmente perso nel tunnel della malinconia.
Ma la cosa più importante riportata da Stefano Pioli in questa sua avventura all’Inter è stata… l’Inter. L’Inter intesa come entità che va sopra i personalismi e i permalosismi, un ideale prima ancora che due colori e una maglia, per il quale mettere da parte l’ego e dedicarsi anima e cuore. Questo sembrano averlo capito tutti coloro che scendono in campo e coloro che osservano da diretti interessati le vicende quotidiana della squadra, presidenti onorari, vice presidenti, direttori sportivi e quant’altro. Tutti uniti, tutti costantemente spronati a dare il massimo, e fin qui nessun fiato quando si è trattato di cedere il posto ad un compagno o magari di rimanere in panchina per tutto il tempo. E di conseguenza, nessuna necessità anche di smontare in tutta fretta eventuali casi per un saluto negato da un giocatore al mister al momento della sostituzione; cose che succedono ad ogni livello, per carità, ma quando l’eloquenza del gesto non tradisce e l’entità dei soggetti interessati è sicuramente di rilievo, normale si pensi ad un po’ di polverone…
Dopo un inizio un po’ tormentato, dalla parte di Pioli sono infine giunti i risultati, tanti risultati. Con buona pace di chi prova a minimizzare il filotto di successi limitandolo al fatto che sono stati sconfitti avversari non certo di primissimo livello, dimenticando che se si guarda alle avversarie su cui l’Inter è passata sopra in questa sequenza ci sono anche la Lazio, che ha sin qui disputato un campionato superbo, e squadre Genoa e Fiorentina, che a loro volta sono passate sopra la Juventus, e se volete aggiungere ‘che al mercato mio padre comprò’ liberi di farlo. Colui che all’inizio fu bollato come un semplice traghettatore sta legittimando invece il ruolo di allenatore da grande squadra, e al contempo sta legittimando la scelta della proprietà di Suning, che superati gli imbarazzi iniziali ha dato una svolta precisa e netta nella gestione della cosa Inter, svolta che promette orizzonti futuri sempre più radiosi.
E a proposito di futuro: da più parti si continua a chiedere anche in maniera accorata alla famiglia Zhang di imprimere un altro tipo di svolta a quest’Inter, una svolta all’italiana, con l’obiettivo di rendere ancora più autoctona la squadra nerazzurra. È noto che Suning sta dimostrando una certa sensibilità verso i vari talenti nostrani che stanno sbocciando anche prepotentemente nel nostro campionato, e come si è presentata l’opportunità ecco fiondarsi su uno di loro anticipando una concorrenza ricca e qualificata, checché ne dicano all’esterno. E nel corso dei giorni successivi al suo arrivo, al segnale politico dato dall’ingaggio di Roberto Gagliardini si è aggiunto anche quello tecnico, ancora più chiaro e forte: da talento magari pagato troppo il ragazzo proveniente dall’Atalanta è diventato un elemento imprescindibile negli schemi di Pioli. Fino a questo momento si è imposto con prepotenza a suon di giocate intelligenti, recuperi importanti, movimento costante, il tutto con la sicurezza e il sangue freddo che da un ragazzo della sua età fatichi ad aspettarti.
Gagliardini promette di essere il primo step di questa nuova era nerazzurra, a forte componente italiana. Forte ma, si badi bene, non esclusiva: l’Inter fa bene a provare a convogliare a sé più elementi della ‘Giovane Italia’, anche pescandoli dal proprio vivaio (produttivo e strutturato in maniera esemplare anche senza quei soldi che potevano essere risparmiati secondo qualcuno evitando di prendere l’orobico gagliardo) come sta succedendo ad Andrea Pinamonti, tanto per fare un nome. Ma, come giustamente ha ricordato Piero Ausilio, per costruire una grande Inter in futuro la discriminante principale non deve essere tanto il passaporto quanto la qualità, il portare gente che vale e che alzi ancora il livello della rosa. Il ‘made in Italy’ può essere quello dei giocatori, ma può venire anche dal metodo di lavoro o dalla costruzione di un gruppo vincente. Può essere quello di un tecnico italiano che ha capito come stare in una grande, e anche quello di una proprietà lontana che però è ormai ben integrata nell’ambiente che sì, magari un po’ ‘bauscia’ lo sta diventando.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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