Cosa fanno attualmente gli allenatori che hanno lasciato un segno nell’era Suning? Se Antonio Conte è un disoccupato di lusso al termine dell’ennesima separazione traumatica da un club della sua carriera, Luciano Spalletti, vinto uno scudetto storico con il Napoli, ha assunto l’incarico di ct della Nazionale italiana, sostituendo quel Roberto Mancini che non ha saputo resistere al richiamo dei soldi dell’Arabia Saudita. Poi c’è Simone Inzaghi, che ha appena rinnovato il suo contratto con l’Inter fino al 2025 tre giornate dopo aver superato le colonne d’Ercole del terzo anno, fatale ai suoi sopracitati precedessori, con l’obiettivo di restare seduto sulla bollente panchina nerazzurra per quattro stagioni, proprio come il Mancio, l’unico a riuscirci negli ultimi trent’anni (dal 2004 al 2008, nella sua prima esperienza a Milano). Per andare a trovare un tecnico dell’era moderna che è ‘sopravvissuto’ di più facendo avanti e indietro sulla linea laterale nerazzurra bisogna tornare a Giovanni Trapattoni, il condottiero dello scudetto dei Record che forse ha coniato la miglior definizione per spiegare cosa significhi davvero guidare un club come la Beneamata: "E’ come essere in una centrifuga", la metafora del Trap. Da questa centrifuga, Inzaghi ne è uscito con qualche piega sull’abito, su cui trovano spazio due coccarde, due Supercoppe italiane, ma da cui è caduta la seconda stella, scucita nel 2021-22 da Stefano Pioli, un altro rinnegato dal mondo Inter che ha trovato, comunque la si voglia vedere, la strada a lui più congeniale una volta lasciatosi alle spalle i cancelli di Appiano Gentile.
Buon bottino, non ottimo per le ambizioni e la storia dell’Inter, ma nobilitato da quella finale di Champions League a Istanbul, dove Lautaro Martinez e compagni, al culmine di due mesi esaltanti in cui incastonare il doppio successo nell’euroderby, hanno scoperto di non essere così inferiori al Manchester City di Pep Guardiola in gara secca. Merito di Simone Inzaghi che, anche a costo di sacrificare tanti punti nella lunga maratona della Serie A, è riuscito nell’intento di elevare lo status europeo della squadra issandola all’ottavo posto del ranking UEFA. Due anni fa, per cercare di eliminare il Liverpool agli ottavi di finale, ha seminato passi falsi delittuosi qua là senza pentirsi delle sue scelte, mentre nella passata stagione si è ritrovato nella situazione di ‘scommettere’ sul percorso europeo, favorito dai sorteggi benevoli, anche a costo di rischiare qualcosa in ottica quarto posto. Era l’unica cosa da fare a un certo punto, vista la distanza oceanica dalla vetta: fatta la scelta, ha trasformato i tanti risultati negativi, spesso bugiardi, nella parentesi migliore della sua gestione interista, i cui riflessi si vedono tuttora come se la rivoluzione del mercato non ci fosse mai stata. Impresa tutt’altro che banale, soprattutto se realizzata nel contesto che abbiamo descritto in precedenza, che gli è valsa la conferma per un’ulteriore annata, ufficializzata giustamente dalla società martedì scorso senza squilli di tromba. I contratti, di questi tempi, valgono quel che valgono, soprattutto per gli allenatori, legati ai risultati più di un giocatore proprio perché uomini soli, quindi più facilmente sostituibili. Lo insegnano agli aspiranti tecnici che studiano a Coverciano che bisogna sempre avere la valigia pronta, lo sa anche Inzaghi che nel suo anno più difficile ha avvertito in almeno due circostanze lo spettro dell'esonero. Quel che appare chiaro è che al terzo tentativo non gli basterà essere l'allenatore migliore per Steven Zhang per ricavi portati a bilancio e trofei messi in bacheca, ma dovrà laurearsi campione d’Italia. Inzaghi lo ha capito da un pezzo, da quando Beppe Marotta andava ripetendo a ogni intervista che il percorso nel campionato scorso dell'Inter è stato 'un punto nero su un foglio bianco'.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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