No, quelle dichiarazioni dopo la vittoria di Bologna proprio non si possono accettare. "Segno poco? Dall'inizio del campionato, mi sono arrivati quattro palloni e tre li ho messi dentro. Direi una buona media...", aveva commentato non senza un filo di sarcasmo Mauro Icardi nel post-gara ai microfoni Mediaset. L'argentino, poi, aveva anche rincarato la dose a Sky: "Quando giochiamo, mi arrivano pochi palloni ed è un peccato perché posso fare gol se servito bene. Ma miglioreremo da qui a fine anno. Non so perché vengo rifornito poco, quest'anno abbiamo più qualità individuali e un po' mi penalizza. Ma l'importante è il bene della squadra, con questa qualità possiamo fare bene".

Il bene della squadra, appunto. Partiamo da qui, dal bene della squadra. Sappiamo che adesso la fascia di capitano viene assegnata un po' a caso, come dimostra quella data a Messi nell'Argentina o quella data a Neymar nel Brasile. Ne siamo consapevoli. Ma che un capitano di un club come l'Inter scarichi pubblicamente le colpe sui compagni per il suo mancato apporto in zona-gol o che indichi l'innalzamento della qualità media di squadra come causa delle sue scarse prestazioni, allora no. Bisogna fermarsi un attimo e riflettere.

Icardi sbaglia due volte. Sbaglia sia nella sostanza che nella forma. Come gli ha ricordato anche Roberto Mancini in conferenza stampa, non è vero che è rifornito poco. "Solo a Palermo, gli sono stati serviti quattro palloni", ha sottolineato il tecnico marchigiano che, giustamente, ha difeso l'operato della squadra e il suo. Icardi, fin qui, si è mosso poco e male. Il 'vecchio' Icardi andava a cercarsi l'avversario, faceva a sportellate, amava i duelli fisici, andava via nell'uno contro uno, tirava da fuori area, attaccava il primo palo, si staccava sul secondo: insomma, si procacciava le palle-gol. Quello attuale, invece, è impacciato e statico. Al di là del mero numero di gol segnati – che può anche lasciare il tempo che trova –, c'è da sottolineare lo scarso apporto alla manovra corale e una certa riluttanza al sacrificio. Sacrificio inteso anche come difendere palla, scaricare, far salire la squadra, andare sulle palle 'sporche'. Tutto ciò che dovrebbe fare un centravanti, peraltro con la fascia di capitano al braccio.

E qui veniamo al secondo punto, ossia la forma. Anche avesse avuto ragione, Maurito non avrebbe mai e poi mai dovuto parlare così in tv. Un capitano difende sempre la propria squadra, si erge a paladino, le fa da scudo. Dei problemi se ne parla nello spogliatoio e soltanto in poche eccezioni è corretto esternare il proprio disappunto pubblicamente. Ma lo si fa come ha fatto ad esempio Gianluigi Buffon: critiche mirate per innescare una risposta di squadra, non per giustificare le proprie mancanze.

Ecco, Icardi prenda esempio dal portiere della Juventus. Oppure, visto che ci si allena fianco a fianco tutti i giorni, prenda esempio da Gary Medel. Il cileno è anima e cuore di questa Inter. Leader vero. Trascinatore in campo e fuori. Tweetta pure lui, e lo diciamo perché sennò sembra che ne facciamo un discorso generazionale. Il fatto è che Medel tweetta con senno, con uno scopo. E in quelle rare occasioni in cui parla, lo fa davvero con il club nei pensieri. "Icardi ha detto che di palloni gliene arrivano pochi? E' un problema che in questo momento c'è, in parte ha ragione – aveva risposto il Pitbull alla Gazzetta dello Sport –. Ma non è colpa di uno o del tecnico: dipende da tutta la squadra, tutta, perché nessuno al mondo è più importante della squadra. Io la penso così".

Ed è giusto pensarla così, caro Gary. Sono le regole del calcio che la pensano così. Parliamo, per l'appunto, di un gioco di squadra. Non è tennis. Non è boxe. Che la panchina contro la Roma gli sia da monito. Perché nessuno è più importante della squadra. Nessuno.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 03 novembre 2015 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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