Chi ha firmato per il pareggio? Questa probabilmente la domanda che Simone Inzaghi ha posto ai propri giocatori entrando nello spogliatoio al termine di Barcellona-Inter. Alla vigilia sia l'allenatore sia Lautaro Martinez hanno detto a chiare lettere che pur essendo un risultato gradito, non avrebbero accettato senza giocarsela la divisione della posta. E il 3-3 finale lascia persino un pizzico di amaro in bocca, perché il terzo gol di bomber Robert Lewandowski, uscito giusto in tempo dal taschino di Stefan de Vrij, nega ai nerazzurri una vittoria sicuramente storica ma soprattutto decisiva, con l'avallo della matematica, per la qualificazione agli ottavi. L'inzuccata del polacco costringerà l'Inter a battere il Viktoria Plzen al Meazza tra due settimane, poco male: giusto guadagnarsi un pass inaspettato davanti al proprio pubblico e festeggiare con 70 mila spettatori, non solo con gli eroici 1.500 presenti nello spicchio destinato agli ospiti del Camp Nou, a cui sicuramente si sono aggiunti molti altri, rigorosamente in borghese, nel resto dell'impianto.
Partita dai contenuti emotivamente significativi, in quanti si sarebbero aspettati una ripresa così arrogante da parte dell'Inter in un ambiente caldissimo, in un clima aggressivo e intimidatorio creato ad arte. Non che i nerazzurri avessero sfigurato nel primo tempo, sporcato dalla distrazione generale sulla rete di Ousmane Dembelé, arrivata dopo due clamorose occasioni sprecate proprio dalla squadra di Inzaghi. Nel corso dell'intervallo, in molti avranno pensato che sarebbe stato saggio limitare i danni, magari accettando la sconfitta di misura che avrebbe mantenuto in parità il confronto diretto. In tanti, non tutti però. Perché nessuno, dall'allenatore piacentino all'ultimo dei convocati in ordine alfabetico, aveva portato con sé in aereo la bandiera bianca. Ergo, l'intenzione di giocarsela e di offendere, in barba al catino locale, non è mai mancata. E sul rettangolo di gioco si è vista, eccome. Decisivo l'inserimento di Nicolò Barella, che oltre a firmare il pareggio ha fatto scricchiolare per la prima volta il muro di sabbia costruito in questi giorni da Xavi e compagnia bella. Un rumore assordante, tra dichiarazioni al veleno e cori antipatici dei tifosi, che mascherava la fott*** paura di uscire dal girone di Champions League. Non è un caso se da quel momento il Barcellona si è fatto attrarre dall'ansia, lasciando autostrade agli avversari. Autostrade in cui un sontuoso Lautaro Martinez, desaparecido nel primo tempo, ha aumentato il rimpianto della dirigenza blaugrana, incapace di strapparlo all'Inter un paio di estati fa.
Una bella lezione, 12 anni dopo, per la spocchia dei catalani, convinti di vincere solo per diritto nobiliare. E stavolta non c'è episodio arbitrale a cui appellarsi, altro non resta che un deludente pareggio che sa di condanna, accompagnato dalla caduta di stile della società (vietare abbigliamento nerazzurro meriterebbe un'inchiesta della UEFA), del suo allenatore e della tifoseria locale, che con un atteggiamento irritante ha svegliato il can che dorme. Per la gioia del popolo nerazzurro e di quello madridista, che ha sostenuto gli italiani come se in campo ci fossero Karima Benzema, Luka Modric e compagni. E chissà che non ci si ritrovi agli ottavi di finale ad affrontarci, in un confronto tra grandi d'Europa. Ma prima, vittoria contro il Viktoria.
¡Hala Inter!.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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