Novanta minuti e rotti di canti e applausi nel pomeriggio di San Siro tra le mura di un Meazza tornato in quasi tutta la sua pienezza e bellezza e tornato a vedere un’Inter altrettanto splendida. Il pungente Hellas si ritrova intrappolato nella precisione, concentrazione e fisicità dei padroni di casa, tornati finalmente ad una prestazione che per approccio e gestione di partita in campionato non si vedeva da inizio febbraio, dalla famigerata gara col Milan, da risultato e conseguenze ben noti. Già nei primi quarantasei minuti la squara di Inzaghi ha mantenuto la promessa fatta nel pre-gara da D'Ambrosio: soddisfazione servita ai 61.325 presenti sugli spalti e non solo per il doppio vantaggio, ciliegina sulla torta di una prestazione che ha ricordato la bellezza e la leggerezza degli otto successi consecutivi che fino alla Supercoppa avevano fatto dei campioni d'Italia i più gettonati nella lotta al titolo.
Nella gara in cui a sedere è il Niño Maravilla per fare spazio a Joaquín Correa, l'Inter si comporta da "campione" secondo il vangelo di Alexis: come un leone relegato per troppo tempo in gabbia, i nerazzurri partono con istinto famelico e senso di protezione invalicabile che non hanno mai fatto temere realmente nulla, annichiliscono lo scintillante Verona e danno un segnale alla classifica che oggi non crea equivoci. Lo scenario è lo stesso di quel derby del 5 febbraio, durante il quale la squadra di Inzaghi ha approcciato e gestito una gara che non sembrava ammettere altri padroni ma che per un corto circuito ha mandato in tilt un intero sistema per un periodo preoccupante. Non è un caso che il vero grande timore, da qualcuno mai pronunciato, era quello che con la squadra di Tudor si potesse assistere ad una frenata che mandava in fumo quanto fatto domenica scorsa, come non è un caso che Federico Dimarco, uno dei migliori interpreti della prima frazione di gioco degli uomini di Inzaghi, a fine primo tempo ha dato un solo monito ai compagni: "C’è solo un rischio da non correre: abbassare l’attenzione, perché se lo fai ti puniscono". Rischio che i nerazzurri per fortuna non hanno corso al netto del calo d'intensità della seconda frazione di gioco che ha dato agli ospiti qualche possibilità di impegnare Handanovic. Se nel primo tempo per il capitano nerazzurro l'unica scomodità è stata confezionata da Simeone al 35esimo, nel secondo gli squilli degli scaligeri sono stati qualcuno in più senza però riuscire a far percorrere reali brividi al gremito San Siro.
Nel fondo del bicchiere della sfida di ieri pomeriggio l'Inter e Inzaghi trovano una serie di risposte che rincuorano all'indomani del periodaccio che aveva parecchio minato le certezze costruite nei mesi addietro e che seminano un po' di entusiasmo per un finale di stagione ancora tutto da scrivere. Bellezza ritrovata che sciacqua persino la bruttezza 'bianconera' vista in casa della Juventus, dove gli uomini di Inzaghi hanno portato a casa un 1-0 allegriano a corto muso che tanto ha fatto discutere. Si torna a splendere vincendo e convincendo in quella modalità inzaghiana che ha regalato al piacentino pronte risposte anche dalla panchina. Maturità e autorevolezza sono i due hashtag di una vittoria nerazzurra che mette per iscritto una coesione rintracciabile anche nelle pagelle degli uomini di Inzaghi che non vede insufficienze. Difficile trovare un peggiore e a voler trovare uno da "avrebbe potuto far meglio" è ancora Joaquín Correa a stridere un tantino rispetto al resto. L'argentino è ancora lontano dalla sua lucentezza ben nota a Inzaghi, ad oggi ancora appannata da quel po' di ruggine figlia di panchine e minutaggio risicato ai quali è stato obbligato negli ultimi mesi. Rimandato ancora una volta l'appuntamento al gol, la rinascita auspicata contro la squadra con la quale aveva esordito con una doppietta da botto che aveva lasciato sperare in una stagione scoppiettante non si è materializzata. Ancora leggermente deludente nella sua prima titolarità dopo quattro mesi, non è mai pericoloso per via di qualche imprecisione di troppo. Qualche buona iniziativa e idea che finisce col perdersi facilmente malgrado la voglia di fare.
Diversamente da Correa, a premiare in pieno la fiducia di Inzaghi è Federico Dimarco proprio ieri pomeriggio contro la squadra nella quale ha vissuto la metamorfosi sottoscritta da Juric e avallata dal piacentino a settembre, fermo nella decisione di trattenerlo a Milano. L'esterno milanese, schierato al posto di Bastoni, si diletta in una performance dalla duplice fase senza mai sfigurare né perdere colpi: attento e reattivo in fase difensiva e sempre propositivo in fase avanzata. Iniziative che danno dinamismo e accelerazione ad una manovra che mixata alla straripanza di Ivan Perisic immobilizzano la squadra di Tudor che sulla corsia sinistra che non trova praticamente mai momenti di respiro. "Dimarco ha caratteristiche molto importanti - ha detto Inzaghi -. Tutti hanno sempre fatto il loro quando hanno giocato e oggi abbiamo valutato che servisse lui". Dimarco, Perisic, Dzeko, Barella, e nessun altro escluso, l'Inter torna a splendere e sembra essere rinata ma Inzaghi va cauto e non si sbilancia: "I risultati influenzano. La partita non era semplice ma i ragazzi sono stati bravissimi. In uno stadio che ci ha trascinati abbiamo fatto una grande serata e sono contento". Ma forse l'highlight più importante di questa giornata contraddice in qualche modo la mitezza di Inzaghi. Nel giorno in cui si cercavano conferme di un risveglio primaverile la risposta a tutto è il ritorno al gol dell'uomo universalmente noto come cardine dell'Inter, Nicolò Barella, tornato ad essere Nicolò Barella dentro e fuori dal campo. Con un gol dentro al campo e un Meursault 2009 fuori dal campo, brindisi particolare come mostra su Instagram dove con orgoglio mostra una bottiglia di quelle pregiate (e di valore) della sua infinita collezione di vini, passione con la quale sta stregando anche l'amico fraterno Marcelo Brozovic. Cin cin speciale per una serata speciale.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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