Poche ore ancora e Zlatan Ibrahimovic vestirà ufficialmente la maglia del Barcellona. Un sogno che si realizza, stando a quanto fatto intendere nei giorni scorsi una volta che la trattativa è decollata. Lui voleva fortemente andare a giocare al Nou Camp, non lo ha mai nascosto anche se le sue parole sono sempre state oggetto di interpretazione. Neanche l’ultimo disperato tentativo di Josè Mourinho ha smosso le sue convinzioni: “Voglio andare a Barcellona”, la replica dello svedese. Che fosse ormai un separato in casa era chiaro da tempo, da prima che finisse il campionato. Con lo scudetto ormai in tasca a riempire le pagine dei giornali è stato proprio lui, con i suoi mugugni, le sue reazioni plateali nei confronti di tifosi e compagni di squadra, le sue perplessità sul futuro.
Tanta carne al fuoco che ha indispettito non poco sia la dirigenza nerazzurra, chiamata tutti i giorni a giustificare le uscite poco felici di Ibrahimovic, e la tifoseria, che per quanto lo potesse adorare calcisticamente, cominciava ad avvertire un certo fastidio nel vedere la loro stessa fede venire in parte snobbata dal campione di Malmoe. Inutile nasconderlo, Ibrahimovic ha perso moltissimi punti nei confronti dell’ambiente nerazzurro, io stesso, pur applaudendo le sue giocate, faticavo a considerarlo un beniamino come fino a pochi mesi prima. Negli ultimi anni Ibra non era più un giocatore dell’Inter, era un giocatore che mirava al raggiungimento di un obiettivo personale, il titolo di capocannoniere. Giocava per sé stesso e anche i compagni lavoravano per lui, sia per amicizia nei suoi confronti, sia perché quasi ‘obbligati’ dalla necessità di ridargli il sorriso e convincerlo che Milano non è poi così brutta per continuare a vivere.
Tutto inutile, lo stesso Mourinho si è dovuto arrendere all’evidenza, ma prima di salutarlo gli ha detto parole che alla lunga potrebbero tornargli in mente: se vincerai la Champions, non sarà per merito tuo, ma perché sei in un gruppo che è costruito per vincere. Un colpo basso al narcisismo senza confini di Ibrahimovic che, personalmente, credo avrà qualche difficoltà a dividere il proscenio con gente che oggi è più star di lui, almeno nei risultati portati a casa. Salvo per i nuovi arrivati come lui sulle Ramblas, ognuno dei calciatori che lo scorso anno faceva parte della rosa blaugrana per meriti sportivi gli è superiore. Difficilmente, dunque, il genio potrà presentarsi nel suo nuovo spogliatoio dicendo: “Io sono Zlatan, e voi chi c**** siete?”, come fece all’esordio nell’Ajax. Saranno piuttosto i giocatori del Barça a fargli questa domanda, almeno idealmente.
Da Messi a Piquè, tutti sono campioni d’Europa, traguardo che Ibra nella sua grandezza non ha neanche sfiorato (Eto’o invece la coppa l’ha alzata due volte, con tanto di gol in entrambe le finali…). Quindi meglio che si metta in testa di essere un tassella di un puzzle vincente, e non il gioiello di casa Laporta. A Milano era idolatrato anche da gente straordinaria come Julio Cesar, Zanetti, Cambiasso e Stankovic, giusto per citarne qualcuno, che pur potendo vestire qualsiasi maglia al mondo non hanno mai parlato di un futuro lontano dall’Inter. Perché campioni bisogna esserlo anche nei confronti della gente e dei tifosi, che danno un senso (e remunerazione) alla tua gioia nel prendere a calci un pallone. Non tutti però lo riescono a tenere a mente, vero Zlatan? Mentre si trovava ancora in Svezia, una volta lasciato il ritiro americano dell’Inter, Ibra ha ammesso di sentirsi felice come un bambino pensando al suo trasferimento al Barcellona. Forse finalmente al bambino è passato il mal di pancia…
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