Le confessioni di Walter Zenga: l’ex portiere dell’Inter parla a cuore aperto al giornalista della Gazzetta dello Sport Paolo Condò per il programma di GazzettaTv ‘Condò Confidential’. Condò debutta ricordando alcune parole dell’Uomo Ragno che una volta gli disse: “Un giorno dovrai salire le scalette dello spogliatoio di San Siro prima del derby”. Zenga rilancia: “Chi non ha vissuto quelle emozioni non può capire… Come si sentiva un eroe a fare il rappresentante di aspirapolveri? Ho sempre detto che la mia vita è ispirata ad una storia. Sono arrivato a dire una volta che non ne volevo più sentire di calcio; quell’esperienza mi ha portato a contatto con la gente che aveva fame, perché dovevo decidere chi doveva essere assunto e chi no”.
Hai mai pensato a che uomo ieri quando eri giocatore?
“Ero un bambino adulto… Ho imparato tutto da solo, magari avendo dei formatori come quando vivevo in viale Ungheria e avevo un allenatore di nome Giannino Redaelli che mi ha dato l’idea di cosa vuol dire rispettare. Dovevo rispettare orari, pulire la mia roba, e questo ti forma”.
Su una gaffe compiuta nella sua esperienza nella Mls: “New England voleva farmi una festa per il mio addio; quella sera mi hanno dato il microfono all’intervallo e io dissi: ‘I have a dream’, riferendomi al desiderio di essere coach-player. I tifosi però impazzirono: solo dopo ho collegato quelle parole al discorso di Martin Luther King”.
Sull’esperienza romena: “In una partita giocata con l’Inter in Romania negli anni ‘80 feci amicizia con Gino Iorgulescu, fu lui a chiamarmi un giorno per dirmi che c’era un posto libero come allenatore al National di Bucarest. Io gli chiesi subito a che ora fosse il primo volo. In quella stagione andammo davvero bene”.
Zenga vanta anche un’esperienza in Turchia, al Gaziantepspor: “Ci sono siti archeologici bellissimi, la Turchia è meravigliosa. Ricordo le trasferte lunghissime quando il pullman partiva il venerdì sera e ci aspettava all’aeroporto di arrivo per portarci in albergo. Ora quando guardo le partite in tv mi piace tanto vedere arrivare le squadre negli spogliatoi; da allenatore lo vivi in un momento particolare, perché pensi se hai fatto tutto bene. Ovviamente non uso le cuffie come fanno i giocatori oggi. Tornando al Gaziantepspor, un giorno dopo aver perso cinque partite di fila andai dal presidente presentando le dimissioni. Ma lui disse che sarebbe stato solo un momento e rifiutò, convinto che le cose cambieranno. Alleno la squadra normalmente, il giovedì faccio una partita allo stadio ricreando la stessa atmosfera di una partita di campionato contro la seconda squadra chiedendo al loro allenatore di perdere. Vinciamo 1-0, lo stesso risultato ottenuto la domenica successiva. Poi andiamo a giocare in Coppa all’Ataturk di Istanbul e vinciamo 1-0. Da interista, quella sera ho fatto anche la foto nella porta dove il Liverpool fece tre gol al Milan".
Turchia che però lascio quando fu chiamato negli Emirati Arabi: “Andai in vacanza con mia moglie quando mi arrivò la chiamata dell’Al-Ain che mi voleva subito, senza farmi tornare in Turchia. Questo è stato uno degli errori madornali che ho fatto, che mi ha ritardato quella che poteva essere una carriera di un certo livello. Le poche scelte che ho fatto seguendo chi mi dava di più è sempre andata male, quando ho scelto la passione invece i soldi sono sempre arrivati. Le cose come quelle che ho fatto al club turco ti si ritorcono, infatti dopo sei mesi si è chiuso il contratto con l’Al Ain. Per questo dico che l’Inter la allenerò in un’altra vita: in questo istante ero libero, ma all’epoca ero impegnato e mai più lascerei una squadra a metà”.
Zenga torna anche sul suo periodo a Palermo: “Quell’esperienza la chiamo l’esperienza di Maurizio Zamparini, non quella di Palermo. Quando fui allontanato, avevamo gli stessi punti dell’anno scorso. Ma mi piacque moltissimo, parlai di scudetto riferendomi però alla permanenza del club in Europa in pianta stabile. Ma quel discorso lo capirono in pochi, tra cui José Mourinho che mi chiamò dicendomi: ‘Conferenza top’. Volevo alzare l’asticella rispetto a Catania, dove arrivai all’obiettivo prefissato dopodiché persi sei gare su sette. Quando raggiungi l’obiettivo, finisci la benzina”.
Una volta Bergomi gli disse: “Se avessi la metà dei tuoi casini morirei”.
“Nella vita ho avuto una carriera ma anche un’ideologia, ovvero al venerdì si chiude. Se alla mia epoca avessi avuto i social avrei avuto qualche scappatella in più; però oggi ai giocatori do i miei profili social e chiedo i loro, bisogna entrare nella mente dei giocatori e capire il meccanismo funziona”.
Sul gruppo azzurro di Italia ’90: “C’erano molti giocatori bandiere delle loro squadre. Era un gruppo unito, dove Fernando De Napoli portava la musica e noi sentivamo sempre lo stesso cd”.
Ultime cinque partite in azzurro con Sacchi, senza prendere gol, prima che il ct faccia altre scelte.
“Mi comunicano che non mi avrebbe chiamato, era già nell’aria… Quando i giornalisti mi chiesero come l’avrei presa, cantai ‘Hanno ucciso l’uomo ragno’ degli 883 cambiando qualche parola inserendo Sacchi e Carmignani. Preferisco sempre dire io di persona ad un giocatore se va bene o no”.
Come si è trasformato il bullo di Viale Ungheria? Come l’hanno cambiato il calcio e l’Inter?
“La gente mi dice che avrei dovuto restare all’Inter, ma per me le società non devono essere cimiteri di vecchi campioni. L’Inter mi ha dato fama, soldi e l’opportunità di sfruttare il mio talento nel modo giusto. Sarò sempre grato al calcio perché ogni giorno posso pensare di migliorare. Il calcio mi ha dato l’opportunità di diventare un uomo”.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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