Letteralmente si parafrasa in "artiglio", ma la garra è un qualcosa che va ben al di là delle controvertibili traduzioni sintattiche. È lo spirito che esprime la ferocia delle nazioni sudamericane, la dignità e la forza di un popolo fiero e orgoglioso della propria terra. Matías Vecino - match-winner dell'ultimo storico incontro nerazzurro con la Lazio in campionato - questo lo sa bene, tuttora si trova in Russia per portare in alto il color celeste del suo Uruguay. Una delle tante patrie del fútbol sparse in giro per il globo, intrecciatasi con la storia dell'Inter per conto degli acquisti di Forlan e Recoba, rispettivamente croce e delizia dei meneghini a cavallo tra l'alba dell'era Moratti e l'inizio del buio post Triplete. Fino all'acquisto della scorsa estate del classe '91, il quale con la sua inzuccata da corner ha consentito alla Beneamata di riveder le stelle.

Parte da lontano il racconto che avvolge a sé la tradizione dell'Uruguay ed i calci d'angolo: era il 2 ottobre del lontano 1924 quando poco dopo il trionfo nei Giochi Olimpici la Celeste perdeva per 2-1 a Buenos Aires contro l'Argentina. Una delle reti portò la firma di Cesáreo Onzari, in occasion della quale vi fu uno scontro tra portiere e attaccante cosicché la palla entrò in porta. Circostanza ribattezzata in Sudamerica con la dicitura di gol "olimpico", termine che per destino s'incrocerà con la storia di Vecino. Proprio nello stadio romano, infatti, il centrocampista ha trovato l'unica doppietta in Serie A, il suo primo gol fiorentino, il battesimo con la casacca nerazzurra e - infine - la rete della gloria, in quel 20 maggio che ha certificato l'agguantamento del quarto posto da parte della squadra di Spalletti. Suo il gol del definitivo 3-2, con tanto di corsa ed esultanza sotto il settore ospiti. Una marcatura che, per le disavventure trascorse dall'Inter negli ultimi sei anni, non può ch'entrare - nel suo piccolo - nella storia del club.

La garra charrúa è una cosa a sé, difficile da spiegare o da interpretare. Devi averla dentro di te, per poter capire quale sia il reale coinvolgimento emotivo. La popolazione dei Charruas era una tribù indigena che abitava nella zona del Río de la Plata, la quale combattè con onore e virtù nonostante le minacce dei conquistatori spagnoli. È per questo che i giocatori dell'Uruguay (territorio esatto in cui abitava la tribù) hanno sempre avuto un grande attaccamento per la propria maglia, specie per quella della Nazionale. L'emblema di una terra che combatte, di un popolo che lotta. Dalla battaglia di Salvio fino alla conquista del Maracaña. Può esser questa la metafora che va a fotografare l'ultima stagione nerazzurra: una voglia di rivalsa culminata nella serata dell'Olimpico. Nessun titolo, ma tanto orgoglio. Ed è così che i nerazzurri sono finalmente tornati nell'Europa che conta, anche grazie alla garra charrúa dimostrata da Vecino.

Chissà se quest'estate l'uruguagio venga sacrificato per far cassa, utilizzato come pedina di scambio oppure relegato al ruolo di panchinaro. Spetta al tempo sancire il suo verdetto, ma quell'azione che più di tutte simboleggia l'annata 2017/18 del Biscione resterà a lungo impressa nella mente dei tifosi. Quei blocchi nell'area di rigore, quella palla che si alza, quel salto da canguro, quello strapotere fisico che si è fatto valere valgono un'intera stagione. Una rinascita che potrebbe essere l'alba di una nuova era, di un risorgimento interista verso i gradini più importanti del panorama calcistico europeo. In tre parole, la prende Vecino.

VIDEO - ATTESA PER IL “NINJA”: PRIMI TIFOSI DAVANTI ALL’HOTEL

Sezione: Calci & Parole / Data: Dom 24 giugno 2018 alle 19:30
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
vedi letture
Print