"L’allenatore divide le colpe col presidente. Esserlo è stato un privilegio, soprattutto in un club con la storia dell’Inter. Io ringrazio il cielo per questo. 18 anni al massimo? Certo, dal primo giorno, poi l’Inter è una società speciale. Quindi la vivi intensamente, c’è la passione della famiglia. Non ho mai snobbato questa cosa”. Così inizia Massimo Moratti nella lunga intervista concessa a Stefano Ferrando per "Sport non Stop", programma di RSI, radiotelevisione della Svizzera italiana.

Poi viene citata la frase del padre Angelo “Il compito di un presidente è distribuire la felicità a tutti”, Massimo commenta: “L’emozione del calcio è qualcosa che se non è felicità ci va vicino, cambia la vita alla gente. Coinvolge in pieno. Basta la notizia di una vittoria, o di un acquisto importante alla Ronaldo, e già quella è felicità. Lo aveva detto mio padre e aveva ragione, era un distributore di felicità. Questa cosa la fai anche per quello, visto che dal punto di vista economico ci sono meno soddisfazioni (ride ndr). Il vero ritorno personale è vedere gli altri felici. Un altro Moratti presidente? Non si può mai dire, non pensavamo nemmeno di tornare, poi è successo. Per ora non è in programma. L’ombra importante di mio padre? L’unica cosa che non si deve dissolvere è l’ombra, che poi è luce, in quanto lo amavamo ed eravamo coinvolti. Non la ho mai visto come un ostacolo, la parte imitativa è servita per fare bene, cose che emozionassero la gente. Se mi ha dato fastidio l’immagine del presidente che gioca con il suo giocattolo costoso? Quando fai una cosa di questo genere devi capire che puoi essere visto così, in parte è vero, hai possibilità che non tutti hanno, ma poi diventa una cosa forte e pesante. Ma mai da spaventarti, non spaventa mai. Almeno per il mio carattere”.

Si passa a trattare del nuovo presidente Thohir: “Assomiglia al cantante del Gangnam Style, lo ha reso più simpatico alla gente? Forse è così, è una persona simpatica. E’ spiritoso e sa prendere le cose con spirito. Una brava persona? Per me il passaggio dell’Inter doveva essere in mani buone e sicure, volevo sapere se era una possibilità la loro nel fare un’operazione del genere. In questo caso è una famiglia importante e una persona che lavora molto, sa di media, aveva voglia di farlo. Meglio che una società importante, ma senza un capo. Poi la responsabilità non la trovi, una famiglia sa cosa vuol dire una responsabilità”.

Quanta fatica ha fatto a vendere? “Serve una certa razionalità, dopo che sei partito non puoi fare marcia indietro. Se pensi che il bene della società sia passare a un profilo internazionale e forse migliore a livello economico, non puoi dopo fare marcia indietro.  Non cerchi di fare il male della società, l’Inter è il soggetto e per lei fai questo ragionamento e non ti penti”. 

Javier Zanetti ha lasciato, poteva essere presidente: “Sì, era il progetto vederlo a rappresentare la società, ha le caratteristiche giuste. Con il modo e l’orgoglio giusto. Zanetti ha vissuto con me tutta la presidenza, tranne il principio. Zanetti ha tutti i crismi per fare quella carriera, il progetto era farlo crescer da dirigente avendo questo come obiettivo, che di sicuro non gli faceva montare la testa. Lo farebbe con razionalità e intelligenza, poi il rispetto ed affetto per l’Inter. Se pensavo sarebbe diventato così forte quando lo ho preso? Lo penso di tutti quelli che prendo, perché altrimenti non li prenderei. La storia del suo acquisto è strana e aveva dentro questo destino. Mio figlio all’una di notte mi ha detto di vedere un filmato dall’Argentina, cinque minuti. Lui (Zanetti, ndr) scendeva sulla fascia, seminava dieci giocatori come adesso. E’ stato il primo acquisto, non ci credevo fosse un terzino. Scelto da me e mi è andata bene, come altri casi. Zanetti o Recoba? Brutto scherzo (ride ndr). I due si completano, perché Javier è tutto dovere, migliora le grandi qualità col lavoro. Recoba aveva tutte le qualità per essere il migliore del mondo, ma forse si è messo nelle condizioni di non esserlo per la pigrizia. Come figure affascinanti, uno perché è un grande lavoratore, l’altro per il fascino di chi ha la qualità e non la spende bene. Sono affezionato a entrambi ma non faccio scelte. Recoba non si allenava abbastanza, ma le qualità le aveva. Oggi l’Inter si identifica con Zanetti, è la storia dell’Inter. Recoba è un fatto mio personale”. 

Su cosa ci sia ancora nell’Inter di Peppino Prisco: “Lui rappresenta una parte del carattere dell’Inter. Lo spirito che aveva Prisco, per la sua intelligenza e coraggio, sapeva prendere tutto con ironia. Lo stesso è nel carattere del club. Prisco ricorda tante cose all’Inter e gli interisti ricordano tante sue cose”. 

Tanti tifosi dell’Inter rappresentano l’élite culturale: “Non so il motivo, siamo sempre stati diversi da quello che era il porrete istituzionale del calcio, soprattutto con noi. Ha sempre avuto il fascino di queste persone. Inno? Al momento non c’è”. Viene mostrata la foto di Ronaldo in lacrime il 5 maggio: “La sua storia non è legata al 5 maggio, quello era un insieme di cose che dovevano andare male, così in generale. La sua sfortuna è di essersi fatto male all’Inter, dopo il ritiro con il Brasile, aveva rotto un sogno. Era ancora destinato a crescere, dopo è stato un grande giocatore, ma era un altro”.

Si passa a trattare di Moggi: “Non provo nulla di particolare, solo che è stato buttato via molto tempo. Se lui aveva firmato per l’Inter? Vale come altre cose che ha detto”. Il gesto dell’ombrello nel derby con il Milan del 2007 è stato uno dei rari momenti in cui ha perso il suo aplomb: “Era una punizione di Pirlo che non era andata benissimo, può capitare. Pensavamo di essere fuori dalle telecamere, chiedo scusa. Può essere fastidioso”. 

Su José Mourinho e Roberto Mancini: “Devo dire che mancini aveva fatto bene, non sono da dimenticare i 3 scudetti, con grandi capacità e grande squadra. Poi è arrivato Mou che il primo anno ha fatto come mancini, vinto il campionato. Poi ha saputo mettere insieme il tutto con il Triplete, che è una cosa eccezionale. Lui è una persona eccezionale. Umile? Una volta lo ho detto, forse per esperienza personale diversa da quella pubblica. Saper spegnere la luce e cogliere sfumature diverse può essere visto come umiltà, Mou era intelligente da saperlo fare. Lo ho apprezzato in tutto, lui rispettava anche molto la società”.

La rivalità con il Milan, tra due presidenti forti: “Uno è uscito e l’altro non so (ride ndr). Una cosa bella che Milano sia rappresentata da famiglia conosciute. Ora interviene la globalizzazione, saranno famiglie internazionali a rappresentare le squadre. Per ora all’Inter almeno, è un’evoluzione da seguire”.

Viene mostrata una foto di Galliani che esulta: “Una foto che esprime una gioia indescrivibile. Le differenze tra milanisti e interisti?  Non si può distinguere con le parole, si capisce se ci parli insieme (ride ndr). Moglie? Una persona che condivide umori, pensieri e preoccupazioni. E’ fondamentale per me. Calcio per rivoluzione sociale? Di sicuro per portare un pensiero nel pubblico, è utilissimo. Per mettere in rilievo dei problemi, perché viene seguito da tutti. Successo di Inter Campus? Ho un rapporto bello, sono felice di farlo e le persone sono felici del nostro impegno. Dico grazie per la fiducia che ci hanno dato”. 

In conclusione, Moratti riceve una visita particolare: quella di Edo Carrasco, esterno di quel Lugano che causò una clamorosa eliminazione dalla Coppa Uefa nella stagione 1995-96. Dopo un iniziale smarrimento, il presidente lo saluta cordialmente e ammette: "Fu un errore comprare Mika Aaltonen (giocatore finlandese dell'era di Ernesto Pellegrini, ndr.) invece che te".
 

Sezione: In Primo Piano / Data: Lun 19 maggio 2014 alle 16:39
Autore: Christian Liotta
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