Si tornerà in campo, dunque. Almeno le 20 società di Serie A, chi volente e chi nolente, hanno accettato di non gettare la spugna e fare il possibile per concludere sul campo questa surreale stagione. C'è in gioco, dicono, il futuro del calcio italiano, di un sistema in cui girano milioni e milioni di euro, di uno spettacolo di cui la gente ha bisogno. Proprio quello spettacolo che si voleva preservare, in tempi non sospetti, garantendo tra un DPCM e l'altro l'ingresso allo stadio delle persone salvo poi rendersi conto, in seguito al tradizionalmente italico scaricabarili, di aver imboccato la strada del suicidio collettivo. 

La gente appassionata ha bisogno di distrarsi in una fase storica cupa, quindi sarebbe anche sensato trasmettere qualche partita che non puzzi di naftalina. C'è inoltre la questione economica che pesa come un macigno, perché non si può negare quanto il calcio contribuisca al Pil nazionale e quanti denari muova ogni anno, trattandolo come mera industria. Però a prescindere da ogni facile retorica, oggi la priorità è ripartire in ogni settore garantendo la sicurezza di ogni singolo individuo, soprattutto di chi è in prima linea e guarda negli occhi il pericolo. Non è per niente facile, perché il tarlo di non aver preso in considerazione ogni dettaglio fondamentale ci sarà sempre e l'Italia non è ancora nelle condizioni di fare esperimenti. Ma il sistema Paese, prima ancora del sistema calcio, deve rimettersi in moto restituendo la dignità lavorativa a chi se l'è vista togliere da un giorno all'altro. E giustamente, anche il pallone reclama il medesimo trattamento, per lo spettro di un default che non può permettersi salvo accettare un profondo ridimensionamento.

Per questa ragione i vertici e i club hanno deciso di tornare di tornare in campo. Dove? Non si sa, forse al Sud dove non si registrano contagi. Come? Giocando ogni tre giorni senza pubblico e cercando di abbassare la serranda entro il 3 agosto, quando inizierà la Fase 2 del pallone, quella europea. Di certo lo spirito d'iniziativa agli organi decisionali non manca, se è vero che ci si troverà a terminare la stagione in modo goffo, in fretta e furia per salvare il salvabile, mentre tutto intorno, al di là delle previsioni ottimistiche, ci sarà ancora gente che muore nelle terapie intensive. The show must go on, giusto? Ok, accettiamo questa soluzione di emergenza, c'è chi si prenderà la responsabilità di dare un senso a questo scempio e di chiamarlo ancora calcio. Perché anche se scenderanno in campo 22 calciatori più la squadra arbitrale, si spera nelle migliori condizioni sanitarie possibili, serve molta fantasia per etichettare come regolare un torneo che verrà sintetizzato in poco tempo, con una preparazione sicuramente non all'altezza e sotto il sole estivo che strappa via ulteriori energie. Non tutti i giocatori sono abituati a giocare ogni tre giorni, poi l'eccezionalità del contesto è un ulteriore intoppo. Come può non essere falsato un finale di stagione in cui basta un problemino muscolare per perdere 4-5 gare ravvicinate? E se per assurdo, ma neanche tanto, un calciatore risultasse positivo al Covid-19 (Sportiello lo è ancora al terzo tampone!)? Tutta la squadra ancora in quarantena? E le precedenti avversarie? Davvero il protocollo verrebbe alterato per portare a termine la stagione? E come potrebbe non influire sulla prossima stagione una che si concluderà a fine agosto? Senza dimenticare la spinosa questione dei contratti in scadenza il 30 giugno, tutt'altro che semplice da risolvere. E senza ignorare il lato umano di giocatori e addetti ai lavori, che giocheranno mentre la gente continua a star male o morire, e tra questi potrebbe esserci un parente o un amico. Si provi a immaginare il loro stato d'animo e non si dia per scontato che abbiano tutti la stessa voglia di tornare a fare il proprio dovere.

La sensazione, o meglio la certezza, è che si proverà a mettere una toppa a un buco enorme invece di cestinare un indumento ormai malconcio e comprarne uno nuovo. Il tutto per non perdere il precedente investimento su quel capo di abbigliamento. A ciò si aggiunge quell'enorme Spada di Damocle che non permette previsioni sull'andamento della curva dei contagi in ambito italiano e internazionale, e che potrebbe mandare in frantumi il castelli di carta che i vertici del calcio stanno provando a erigere per salvare il salvabile. Forse, tutto questo chiacchiericcio inutile, queste polemiche, questi atti di accusa associabili a una banale riunione condominiale e che smascherano le priorità di certi personaggi avrebbero dovuto lasciare spazio alla programmazione della prossima stagione e alla ricerca delle soluzioni che fermassero l'emorragia economica attuale del sistema e fossero le meno traumatiche possibili per la collettività. Invece qualcuno accetterà di prendersi il rischio di concludere questa tragica stagione come se non ci fosse altra strada. Ok, andiamo avanti per il 'bene comune'. But this is not football.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 23 aprile 2020 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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