Serie A... sintomatica ma malata. Nel bel mezzo dell'effetto domino prodotto dallo stop definitivo dei campionati nazionali in Francia, Olanda, Belgio e Scozia, l'Italia calcistica tiene in piedi a fatica la sua tessera d'immunità al Covid-19 temporeggiando per non decidere. Il rimbalzo di responsabilità a cui abbiamo assistito lunedì scorso tra Governo, Lega Calcio e Figc, tramite note ufficiose affidate all'Ansa, è nato dal discusso provvedimento previsto nel decreto firmato da Giuseppe Conte relativamente agli allenamenti per gli sport professionistici, distinti tra individuali e di gruppo. Una decisione che, a patto che arrivi il 'semaforo verde' decisivo per il 18 maggio, ritarda di due settimane la ripresa del pallone, e che di conseguenza mette a serio rischio la possibilità di chiudere la stagione prima del gong fissato dalla Uefa per il 3 agosto.

In questo contesto, la Lega Serie A – dopo aver evidenziato che il 14 giugno è l'ultima data utile per far ripartire il torneo – ha fatto trapelare la sua delusione per il dpcm in cui non sono previste le date certe di ripartenza del calcio. Puntualizzando che è stato disatteso un accordo politico raggiunto precedentemente tra le parti. Pronta e immediata la risposta del ministero dello sport, arrivata tramite agenzia di stampa: "Nessun impegno è stato assunto dal Governo per un arco temporale così lungo, non potendo fare previsioni su decisioni che possono essere valutate solo osservando l'andamento della curva dei contagi e sulle indicazioni che il comitato tecnico scientifico potrà dare". A chiudere il cerchio, i colpi di scena di ieri: il ministro dello sport Vincenzo Spadafora parte in quinta di prima mattina dichiarando che 'la maggioranza dei presidenti di A potrebbe chiedere di sospendere tutto'; nel pomeriggio l'attesa diviene vana di fronte al mutismo sulla vicenda di Paolo Dal Pino e dei 20 club che rappresenta. All'imbrunire il grido disperato di Gabriele Gravina, l'uomo che non vuole essere inserito nei libri di storia come il becchino del calcio: "Finché sarò presidente della Figc non firmerò mai per il blocco dei campionati perché sarebbe la morte del calcio italiano. Tutti invocano il blocco, lo faccia il Governo, ce lo imponga, io rispetterò sempre le regole". 

Una tira e molla di stampo pilatesco che non può protrarsi ancora per troppo tempo, dato che le Leghe europee entro il 25 maggio dovranno essere in grado di comunicare ad Aleksander Ceferin l'eventuale data della ripresa e il relativo formato della competizione. Sì, perché il massimo organismo calcistico del vecchio continente, dapprima intransigente sul completamento della stagione col formato originale, ha ammorbidito le sue linee guida dopo l'ultimo comitato esecutivo del 23 aprile: la nuova esortazione che arriva da Nyon è esplorare tutti le ipotesi per portare al traguardo questa annata disgraziata, ma sempre fondandosi sulla regola aurea del 'merito sportivo'. Essa può essere rispettata in tre modi: ritornando in campo, ricorrendo ai playoff oppure, in ultima istanza, tenendo buona la classifica congelata all'ultima giornata disputata. Un'inversione a U rispetto al 2 di aprile, quando Eca e Uefa - in una lettera congiunta – ammonivano le Federazioni e le Leghe che "sospendere i campionati nazionali in questo momento avrebbe pituto pregiudicare l’iscrizione alle prossime coppe europee".

Scenario prontamente scongiurato, per fortuna, perché sarebbe stato ingiusto punire Paesi come Belgio e Scozia che hanno adottato determinate decisioni per salvaguardare la salute pubblica dei propri popoli. L'effetto ottenuto è stato opposto: la sensibilizzazione della Uefa sul tema. Le nuove direttive sono nate anche, se non soprattutto, per le rimostranze belghe e scozzesi. In un secondo momento, a quel punto senza entrare apertamente in conflitto con la Uefa, hanno detto 'basta' anche l'Olanda e la Francia, quest'ultimo il primo campionato della top 5 europea a prendere una simile decisione. In soldoni: se una competizione nazionale viene anticipatamente interrotta per motivi legittimi, la UEFA richiederebbe all'Associazione Nazionale interessata di selezionare le squadre per le competizioni europee per club 2020/21 in base al merito sportivo nelle competizioni nazionali 2019/20. "La procedura per la selezione dei club – si legge nella nota ufficiale - dovrebbe basarsi su principi obiettivi, trasparenti e non discriminatori. Le associazioni e le leghe nazionali dovrebbero altrimenti avere la possibilità di decidere le posizioni finali nelle loro competizioni nazionali, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascuna competizione. La determinazione finale dei posti idonei per le competizioni UEFA per club dovrebbe essere confermata dagli organi competenti a livello nazionale". 

Insomma, la Uefa ha già aperto il paracadute per non far schiantare al suolo il calcio del prossimo futuro, facendo capire a chiare lettere che non sarà possibile studiare calendari acrobatici che spostino l'asse terrestre all'anno solare 2021. Una scelta che produce un effetto pericoloso, restituendo un'Europa a due velocità a livello nazionale e internazionale. La forbice economica, infatti, si aprirà inesorabilmente tra chi sembra deciso a far rotolare di nuovo il pallone (Bundesliga e Premier) e chi lo terrà fermo, con un riflesso pure sull'equilibrio competitivo delle Coppe. E all'orizzonte restano irrisolti moltissimi dubbi: chi colmerà il gap a livello di bilanci dei club che non incasseranno gli introiti dai diritti tv? Il Fair Play Finanziario, già di per sé migliorabile, ha ancora senso in questo contesto? La guerra sacrosanta alle plusvalenze, in un settore in cui circolano sempre meno soldi e i club decidono di tagliare gli stipendi ai propri dipendenti per sopravvivere, non diventa anacronistica? E poi ancora: i nuovi rapporti di potere in sede di calciomercato che impatto avranno sulla costruzione delle rose? 

Sono queste le domande a cui deve rispondere la Uefa, che per ora si è limitata a erogare in anticipo 70 milioni di euro per i club che hanno prestato giocatori alle Nazionali (altri 130 sono stati stanziati per Euro 2020) e 236,5 milioni di euro alle 55 federazioni affiliate. Troppo poco, servono riforme strutturali per contrastare una crisi senza precedenti, esattamente come nel mondo reale va trovato il vaccino per sconfiggere il Covid-19.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 30 aprile 2020 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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