Dopo la sconfitta con il Sassuolo non ho visto né interisti sorridenti né voti altissimi in pagella per i giocatori di Mancini. Lo stesso tecnico, su giornali e tv, ha ricevuto al massimo una sufficienza stiracchiata. Eppure, dopo una partita di quel tipo, di quelle che tanto piacciono agli esteti del calcio, e contro un avversario di assoluto valore (rimasto giustamente in undici uomini), mi sarei aspettato esattamente l'opposto. Mi sarei aspettato tifosi nerazzurri colmi di gioia per la piacevolezza della manovra ammirata e per le numerosissime palle-gol create, nonché elogi sperticati per tutti i quattordici elementi utilizzati dal Mancio. Invece, amarissima delusione.

Eh già, il "bel gioco" non è bastato. E' stato sufficiente uno svarione al 94' per mandare di traverso a tutti gli interisti la settimana appena cominciata e far apparire insufficienze anche sterminate su giornali e tv. Eppure... eppure l'Italia era diventata improvvisamente la patria del calcio champagne, dell'attaccare lancia in resta "perché così si confà a una squadra di rango", del possesso palla fino allo sfinimento, della prestazione "al di là del risultato". Quanta ipocrisia. Qualcuno ha anche trovato il tempo e il modo di sbeffeggiare Mancini riutilizzando immediatamente la sua frase della conferenza stampa pre-gara, quella de "gli 1-0 sono bellissimi".

Non è altro che la conferma che nel calcio serve fare gol, almeno uno più degli avversari. Ormai lo abbiamo ripetuto fino allo sfinimento. E non parliamo di vittorie casuali, perché senza un progetto serio di squadra non vai lontano. Parliamo di modi diversi di arrivare ai tre punti. Dopo un girone intero di campionato, possiamo asserire con ragionevole certezza che quest'Inter – piaccia o non piaccia – sa come prendere quello che vuole. Per cui, finiamola qui con questa pantomima del "bel gioco" e del "meritare".

Anche perché rimane sempre da discutere della crociata contro Kondogbia, che ormai ha raggiunto livelli altissimi. Bollato già come 'pacco' dai più, il francese paga il peso dei circa 30 milioni con cui l'Inter ha battuto la concorrenza del Milan. "Il mercato ha dinamiche tutte sue, il costo del cartellino dipende da mille variabili. Non parlo mai del valore economico di un giocatore perché questo serve solo a qualcuno per dare addosso al ragazzo in questione qualora non dovesse fare subito bene", mi illuminò una volta Daniele Adani

Kondogbia compirà 23 anni fra circa un mese, arriva in un campionato notoriamente complicatissimo (specie per i centrocampisti) e gioca in una squadra 'poco protetta' mediaticamente. Normale che una volta sì e l'altra pure sia messo alla gogna anche per prestazioni tutto sommato normali come quelle con Empoli o Sassuolo. Da lui ci si aspettano progressioni a profusione, gol, rovesciate, rabone e assist, manco fosse Messi. Finora, il buon Kondo ha fatto il suo. Non ha mai davvero convinto, tant'è che non è un titolare inamovibile. Però si sta ambientando, sta migliorando, sta prendendo confidenza con un calcio nuovo e con una vita nuova. Quello che è certo è che i colpi ci sono, la materia da sgrezzare ha valore, l'investimento è sufficientemente salvaguardato. Non esiste ansia attorno a lui, sebbene si cerchi di crearla dall'esterno a tutti i costi. Era partito in sordina anche al Siviglia e successivamente al Monaco. Nessuno intende difendere l'indifendibile, soltanto andrebbe soppesata la valutazione guardando ai fatti nella sua interezza e non fornendo dati parziali ad uso e consumo. Senza avvertire la necessità impellente di parlare di "caso" o di "crisi".

Ci vorrebbe più eleganza e meno ipocrisia. Un po' quello che per circa 50 anni di carriera ha provato a insegnarci il talento geniale di David Bowie. Goodbye Mr. Jones. E grazie.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 12 gennaio 2016 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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