Sembrava tutto definito: un’operazione ormai sistemata anche nei dettagli, che non avrebbe comportato nemmeno un eccessivo esborso economico trattandosi semplicemente di un prestito con semplice elargizione dell’ingaggio, con tanto di dichiarazioni da parte anche di un ex compagno di squadra che ne approvava la scelta, e un giocatore pronto ad essere accolto dai tifosi in aeroporto. Poi, all’improvviso, la marcia indietro, il niet, il dietrofront. E per Alex Teixeira, centrocampista offensivo brasiliano classe ’90, si preclude all’improvviso la possibilità del ritorno in patria, e per il Corinthians sfuma la possibilità di aggiungere un tassello prezioso alla propria rosa. Tutto perché da un momento all’altro, è arrivato repentino il diniego da parte del club proprietario del suo cartellino, lo Jiangsu Suning.
Già, si torna a parlare del club di Nanchino di proprietà del gruppo Suning, quello della famiglia Zhang che detiene la maggioranza del pacchetto azionario dell’Inter, nuovamente protagonista sul calciomercato, stavolta interno, per un affare in uscita sul quale dall’oggi al domani hanno deciso di far saltare il banco. E a dare l’annuncio della cessione andata in fumo è stato l’uomo chiamato poco meno di un anno fa a gestire le sorti dell’universo sportivo Suning, facendo leva sulla sua indubbia capacità e conoscenza del calcio anche internazionale: è toccato a Walter Sabatini dare la brutta notizia ai tifosi del Timao che ormai avevano preparato il palato, con una dichiarazione nella quale il malumore per la mancata operazione risulta alquanto malcelato. A stridere, in maniera particolare, è quella chiosa finale, o perlomeno quella chiosa per come è apparsa sui media brasiliani che hanno riportato il virgolettato, che spiegherebbe probabilmente meglio di qualunque altra cosa il sentiment per quanto accaduto: “I cinesi hanno cambiato idea, questo succede frequentemente”.
Non è la prima volta che le cronache sportive ci consegnano un affare che vede protagonista un club cinese praticamente annunciato e poi svanito senza troppi perché; a suo modo, anche l’Inter ha vissuto negli anni scorsi sulla propria pelle una situazione del genere. Ancora una volta, corsi e ricorsi storici, protagonista fu Suning che bussò alle porte di Corso Vittorio Emanuele per chiedere di Fredy Guarin, salvo poi battere in ritirata quando tutto sembrava più o meno fatto; buona pace per l’Inter che poco dopo si fece avanti lo Shanghai Shenhua per il colombiano e qualche mese dopo la stessa azienda tornò a farsi viva per un piatto ben più grosso, stavolta chiudendo il tutto in tempi rapidi e con reciproca soddisfazione. Ombre cinesi più o meno grandi con le quali alla fine si è ritrovato a fare i conti anche il buon Sabatini; lui che aveva accettato di buon grado questo ruolo un po’ inconsueto e che da subito aveva sottolineato l’importanza di considerare Jiangsu Suning e Inter come un corpo unico, da gestire all’unisono nel tentativo di arrivare al celeberrimo ‘Grande Slam’ domenicale.
Sabatini che certamente ha accettato la sfida di Suning anche convinto da quelle che sono le potenzialità economiche dell’azienda di Nanchino, quelle che, per dire, sono state pienamente espresse nel lauto ingaggio riconosciuto a Fabio Capello per diventare nuovo tecnico dello Jiangsu, e che unite a tutte le buone intenzioni del mondo gli avrebbero permesso, nella sua mente, di riprendere il filo del discorso interrotto a Roma e di poter costruire squadre di livello potendo finalmente togliersi l’etichetta di direttore abile sul mercato ma mai vincente. Ma che purtroppo, sin qui, si è ritrovato più nolente che volente a dover sbattere contro un muro di gomma fatto di frenate improvvise, lacci e lacciuoli, imposizioni governative alle quali attenersi. Ma soprattutto con una mentalità particolare, quella di un gruppo imprenditoriale che valuta fino all’estremo i rischi aziendali per evitare di incappare in alcun tipo di inciampo, considerati anche gli oneri morali dovuti alla partecipazione politica del proprietario Jindong Zhang e alle conseguenti problematiche legate all'immagine delle aziende cinesi all'estero.
Già a gennaio, stando ai bene informati, Sabatini ha dovuto fare i conti con una situazione simile: senza scomodare a tutti i costi il nome di Javier Pastore, per il quale comunque la dirigenza interista ha sempre usato l’arma della prudenza e del disincanto, il caso spinoso è stato quello di Ramires, centrocampista dello Jiangsu dipinto come possibile concessione da parte del club cinese all’Inter per la seconda parte di stagione, arrivo che però non si è mai concretizzato, un po’, si dice, per alcune questioni intrinseche che probabilmente avrebbero subito fatto drizzare le antenne dell’Uefa, un po’ perché sarebbe stato difficile giustificare a Capello oppure ai tifosi delusi da un’annata grigia la partenza di uno dei pilastri della formazione locale per il solo scopo di aiutare la sorellastra lontana 10mila chilometri.
Il caso Teixeira, che difficilmente potrà vivere un nuovo colpo di scena considerata l’imminente chiusura del mercato cinese, però, ha portato Walter Sabatini a dire quello che ha detto: lui che solo qualche giorno fa ha provato a fare, forse mostrando più generosità del dovuto, da scudo contro le lamentele della tifoseria nerazzurra e le critiche dei mass media rinfocolate dalla pessima situazione in campo della squadra di Luciano Spalletti, distribuendo in tutte le componenti le responsabilità del momento nero e provando a richiamare tutti alle proprie responsabilità, sortita a sorpresa comunque encomiabile fatta nel tentativo di sgravare Suning da colpe più o meno relativamente a loro adducibili. Sabatini che però, di fronte all’ennesima situazione per lo meno oscura, alla fine non si sarebbe trattenuto lanciando quella stilettata. Che, al di là di eventuali prossime precisazioni legate all'effettiva veridicità delle parole stesse o della loro traduzione (ormai il rischio di inciampo è sempre dietro l'angolo, vedasi anche il recente caso Milan Skriniar), potrebbe non voler dire niente. O che invece può voler dire molto.
Sono però parole che purtroppo andrebbero ad aggiungere benzina sul fuoco che sin qui ha circondato Zhang senior, che da oltre un anno non si fa vivo dalle nostre parti e non spende una parola nei confronti di quella che, se vogliamo raccontarla in termini brutali, è comunque una parte importante del proprio business, un silenzio assordante e che sembra affliggere le fondamenta societarie, malgrado tutta la buona volontà e il lavoro della componente insediata ad Appiano Gentile. Il tutto mentre Steven Kangyang Zhang continua ad osservare senza potere, o volere, mettere lui direttamente le mani in questa situazione incandescente. Si ripropone pertanto il problema già evidenziato a suo tempo: Suning ambisce a creare un modello di riferimento anche nell’ambito sportivo a livello mondiale, ma difficilmente potrà farlo se continuerà a rimanere rintanata nel proprio maestoso quartier generale.
Tralasciando tutte le ipotesi di appoggio nostrano, finite anche con lo sfociare in soluzioni utopistiche, e senza mettere in discussione comunque l'impegno economico mostrato sin qui dal brand del leoncino (e le conseguenze sul fatturato dell'Inter si sono sentite eccome), occorre indubbiamente la presenza di una proprietà che stia vicina il più possibile alla squadra, aiutandola ad avere certezze e spendendosi per fugare dubbi e ansie soprattutto all'interno, oltre a respingere in prima persona tutti gli attacchi esterni. Si ingegni, insomma, a costruire un comitato sportivo che possa insediarsi stabilmente in Italia e apprendere sul campo anche gli aspetti più intimistici che finiscono ineluttabilmente a condizionare la gestione di una società calcistica. La sola presenza del buon Steven, che sempre più offre l’impressione di essere stato lasciato un po’ all’addiaccio, può dare ben poco. E di certo questa nuova giravolta non aiuta a rinforzare l’idea di un gruppo che vuole farsi un proprio nome in un mondo, come quello del calcio, che si ostina a non essere solo business.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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