La sosta del campionato somiglia, per certi aspetti, a quelle serate che si trascinano fino a tardi: così succede che tra le tante chiacchiere, tra un bicchiere di vino e l'altro, tra alcune cose serie e molte altre no, si finisca anche, e a volte, per fare pensieri molto, troppo, grandi. In quelle serate in cui prima di guardare all'improvviso l'orologio e capire che l'ora è precisamente quella di andare a dormire, può accadere di riflettere sulla propria vita, su come la vorremmo davvero, su come la vorremmo persino cambiare. Per migliorarla, per ottenere o riottenere quel qualcosa in più. E poi, inevitabilmente, si finisce per andare a ritroso e ricordare giornate, aneddoti, momenti, istanti. In quello che diventa una sorta di inevitabile e provvisorio bilancio.
Ecco la sosta del campionato un po' somiglia a tutto questo perché puntualmente, nel bel mezzo degli impegni della Nazionale di Mancini, tornano in voga, più di tutto, due argomenti: il mercato (ciò che potrebbe migliorare la vita dell'Inter) e la valutazione delle classifiche e dei risultati nella prima parte di stagione (che sarebbe il bilancio provvisorio della vita dell'Inter). Parlando di mercato vale tutto, in estate come in inverno: Modric, Chiesa, Rafinha, a gennaio, no a giugno, poi non ci sono più i paletti del fair play finanziario, Marotta, no ma è stato alla Juve, pazienza è un professionista serio, Steven Zhang faccia i primi colpi, Thohir se n'è finalmente andato eccetera, eccetera, eccetera.
Parlando di bilanci diventa, parere opinabile, tutto più interessante almeno tanto quanto, appunto come detto, provvisorio. Sono trascorse 12 giornate di campionato più quattro di Champions: l'Inter è terza in Serie A e seconda nel girone europeo, in piena corsa per la qualificazione agli ottavi e soprattutto col destino nelle proprie mani. E chi non avrebbe firmato per tutto questo in estate? diventa, a questo punto, il più classico dei tormentoni. Per carità, è tutto vero: l'andamento dei nerazzurri in Italia è ampiamente entro i margini degli obiettivi stagionali mentre quello continentale addirittura superiore alle aspettative.
Ma... c'è ovviamente un ma. Anzi, più di uno. L'inizio di stagione scoppiettante e sopra le aspettative, infatti, non è una novità nel passato recente nerazzurro. Già lo scorso anno con Spalletti in panchina, l'Inter si rese protagonista di un avvio da record: 6 vittorie nelle prime sette giornate, 33 punti dopo 13 partite (miglior classifica in Serie A da quando ci sono i 3 punti), zero sconfitte nelle prime 16 e, in conclusione, la miglior partenza dal 1950-51. Tutto bello fino a dicembre quando il doppio ko con Udinese e Sassuolo aprì il periodo da incubo da cui i nerazzurri riemersero solo a febbraio: tanto dovettero aspettare per tornare a vincere. Due mesi, quasi tre, di buio totale che hanno messo a rischio la stagione, salvata, è storia stra-nota, dal colpo di testa di Vecino e dagli scontri diretti a favore rispetto alla Lazio.
La stagione precedente (quella dei De Boer-Vecchi-Pioli-Vecchi) è impossibile da valutare per manifesta impresentabilità mentre se si torna a ritroso di un anno ancora, ecco che con Mancini accadde una cosa simile. La stagione 2015-16 (terminata con un quarto posto che allora non valeva la Champions) l'Inter la iniziò con 5 vittorie di fila e un primo posto che ancora alla 18esima giornata resisteva. Ma dalla 21esima giornata iniziò un peggioramento che portò la squadra lontana dal vertice.
Per dovere di cronaca entrambe quelle stagioni (l'ultima di Mancini e la prima di Spalletti) vedevano un'Inter senza coppe e concentrata solo sulla Serie A. Cosa che non avviene quest'anno visto che il buon inizio di campionato con il terzo posto attuale è ancor più valorizzato dal rendimento europeo (che, per altro, porta nelle casse diversi milioni). Ma il punto resta sempre quello: l'Inter deve dimostrare di non calare alla distanza, di non accontentarsi della scorta di punti fatta pensando di potersi permettere di tirare il fiato. Perché nell'esatto momento in cui lo si pensa si è già una squadra di seconda fascia.
Quasi tutti i giocatori hanno indicato nella vittoria in rimonta sul Tottenham la svolta della stagione: lo è stata ma è stata anche una svolta a tempo che ha avuto i suoi (ottimi) effetti per un po' che però non sono andati oltre l'ostacolo di Bergamo. Ecco un altro punto: dovrebbero essere pure le sconfitte a rappresentare una svolta e i 4 gol presi dall'Atalanta dovrebbero provocare arrabbiature e voglia di reagire nello spogliatoio e negli uffici nerazzurri. Perché un conto è perdere, un conto è perdere come ha fatto l'Inter davanti a Gasperini che sembrava essersi trasformato in Guardiola.
Cose da Inter, probabilmente. Quello che è certo è che dopo 12 giornate di campionato l'Inter deve dimostrare, nel resto della stagione, cosa vuole fare da grande: rimanere una squadra che infila anche diverse ed esaltanti vittorie consecutive alternate a cadute rumorose e a momenti di flessione, o trovare nella continuità, nella capacità di rigirare una partita anche quando è la tua giornata-no (cosa che si sarebbe potuta fare a Bergamo dopo il rigore dell'1-1 di Icardi) per poter ragionare davvero da grande. Non come incompiuta. E l'arrivo di uno come Marotta potrebbe aiutare la formazione di quella mentalità che negli ultimi anni è stata la carenza più grave.
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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