Saul Malatrasi è l'unico giocatore che può vantare di aver vinto la Coppa dei Campioni con le maglie di Inter e Milan. Le sue parole alla Gazzetta dello Sport nella settimana che porta alla finale di Champions per la squadra nerazzurra.

Saul ha giocato nell’Inter con Tarcisio, Giacinto, Aristide, Spartaco. Nomi un po’ singolari. No?
"Nomi da Grande Inter. Una squadra meravigliosa, la migliore Inter di tutti i tempi. Ogni tanto penso al famoso “credo” di Luciano Ligabue: “Credo che un’Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno, e belle, in maniera diversa”. Sì, poi è arrivato Mourinho, adesso Inzaghi con una grande, grandissima Inter che può battere il Psg. Ma la mia è lassù, nel punto più alto. Dico mia anche se ho giocato poco. Sa, avevo davanti gente come Guarneri e Picchi. Però nel 1965 ho fatto cinque partite e abbiamo vinto la Coppa".

Ricorda l’esordio?
"Certo. Ho ancora una buona memoria. Come puoi dimenticare la prima volta? A San Siro contro la Dinamo Bucarest: 6-0. Le dico anche la formazione: Sarti, Burgnich, Facchetti, Malatrasi, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Peirò. Io ho giocato con il 4, mediano. Alla Tagnin, o alla Bedin. Perché sapevo fare un po’ di tutto: il terzino, il libero, ma mi muovevo bene anche a centrocampo. Quel giorno ero felice. Giocavo con la maglia dell’Inter campione d’Europa. Avevo realizzato uno dei miei primi sogni".

Poi sono arrivati altri traguardi. Un bel riscatto, no?
"Insomma. Tre Intercontinentali (due con l’Inter, una col Milan); due Coppe dei Campioni (Inter e Milan); due Coppe delle Coppe, ma anche una Coppa delle Alpi e una dell’Amicizia italo-francese".

E per non farsi mancare niente anche due Coppe Italia.
"Più di così. Ho giocato per quindici anni: dalla Spal alla Spal, passando per Fiorentina, Roma, Inter, Lecco e Milan. Nel calcio è facile arrivare, difficile rimanere. Io non mi sono mai stancato. Sono stato povero e avevo sempre paura che mi mandassero a casa. E allora ho lavorato, lavorato e lavorato. Con tutti i miei allenatori".

Anche con Helenio Herrera. Com’era?
"Il top. Ho sempre detto che con Herrera non mi trovavo bene. So che mi stimava, mi aveva voluto lui. Ero alla Roma e mi ha chiamato: “Venga, faremo un buon calcio”. Sì, vero. C’è da dire che Herrera non andava molto d’accordo con Picchi, soffriva la forte personalità del capitano. Voleva comandare, vincere, fare tutto lui. Le racconto questa: dopo una partita di Coppa dei Campioni siamo tornati in ritiro ad Appiano. Io e Mario Corso non avevamo sonno e abbiamo passeggiato fino all’alba nel silenzio. Nei prati c’erano fagiani e lepri. Improvvisamente spunta la Mercedes di Herrera. Suona il clacson e mi chiama: “Malatrasi, venga, salga, andiamo all’Arena a giocare il derby con la squadra De Martino”. Non stavo in piedi, però lui non ha voluto assolutamente sentire ragioni. Ci teneva a vincere tutto: aveva il premio doppio, anche per le riserve. Questo era Helenio. Era tirchio, ci dava del lei, faceva fatica a parlarci, andava d’accordo soltanto con Luis Suarez".
 

Sezione: Rassegna / Data: Lun 26 maggio 2025 alle 11:30 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni
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