Lunga intervista della Gazzetta dello Sport a Luciano, ex Eriberto, che parla anche e soprattutto proprio della sua bugia.
Luciano, perché decise di cambiare identità?
«Volevo giocare in una squadra professionistica e una persona mi disse che con un’altra identità e un’età inferiore sarebbe stato più facile. Se un calciatore ha buone potenzialità ed è giovane, i club importanti decidono di investire. Così cancellai Luciano (nato il 3 dicembre 1975) e diventai Eriberto (nato il 21 gennaio 1979). Il Palmeiras mi prese al primo provino nel 1997».
Tre anni e 49 giorni in meno segnavano davvero la differenza tra il sogno e la realtà?
«Così sembrava. Io mi fidai. Ero solo, mamma era morta quando avevo sei anni e papà poco dopo. A nove anni lasciai la scuola altrimenti non avrei potuto mangiare. Cominciai a lavorare scaricando mattoni. Il calcio poteva essere l’unica speranza di una vita migliore per me e i miei quattro fratelli. Io sono cresciuto per strada, difficile immaginare un futuro. Alcuni miei amici di quei tempi hanno fatto una brutta fine. Vivevamo a Rio Bonito, a 80 km da Rio de Janeiro. Ho visto di tutto e di più. Così ho cominciato a inseguire il mio sogno legato al pallone diventando Eriberto. I miei genitori non mi avrebbero mai permesso di cambiare identità, ma loro non c’erano più da tempo. Mi vergogno di averlo fatto, ma non posso tornare indietro».
Palmeiras, poi l’Italia: Bologna, Chievo. Chi sapeva la verità?
«All’inizio solo i fratelli e gli amici più stretti. Conobbi mia moglie quando ero al Palmeiras, ma per un po’ la nascosi anche a lei. Un giorno venne a cena con la mia famiglia e si insospettì: i nostri nomi iniziano tutti con la L, cosa c’entrava Eriberto? Le dissi che un giorno avrebbe capito. Poi le raccontai tutto. E cominciai a vacillare quando nacquero i nostri figli Gabriele e Vittoria: non potevo mettere ai bimbi il mio cognome vero».
Perché il 21 agosto 2002 decise di confessare?
«Non ce la facevo più, non mi piacciono le bugie. Avevo anche paura di andare in carcere, prima o poi. Mi ha aiutato tanto la fede in Dio: senza di Lui chissà dove sarei finito nella mia vita, mi ha dato tutto quello che desideravo. Dire la verità è stata la scelta migliore, mi sono aperto e ho deciso di pagare le conseguenze del mio errore. Durante la squalifica di sei mesi ho finalmente ricominciato a dormire bene. Ero di nuovo in pace con me stesso».
L’Inter arrivò nel momento sbagliato?
«Non ero al massimo e poi fui molto sfortunato perché poco dopo il mio acquisto fu esonerato Cuper che mi aveva voluto. Il club affidò la panchina a Zaccheroni che giocava un calcio diverso e meno adatto a me dal punto di vista tattico. Prima di fare il salto in un grande club avrei dovuto aspettare di essere di nuovo al top della condizione. Ma è andata così. Dopo pochi mesi tornai al Chievo dove sono stato benissimo».
Autore: Alessandro Cavasinni
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