Intervistato da Diletta Leotta su DAZN, Alessandro Bastoni ha parlato molto di sé stesso, dei suoi obiettivi e ovviamente di Inter nel format 'Day Off'. La location è l'oratorio in cui il difensore interista è cresciuto da piccolo. "Ho mosso i miei primi passi, anche calcistici, qui all'oratorio. Sono sempre stato molto timido, non ero in una scuola calcio per questo motivo, quindi venivo all'oratorio con i miei compagni di scuola. Fa piacere tornare qui, sarò sempre grato a loro. Essere padre? Si dorme poco, ma è davvero bello", dice Bastoni. "Mi piace tanto anche il basket, ho tante amicizie in quel mondo come Amedeo Della Valle. Dopo il calcio è lo sport che apprezzo di più - racconta Bastoni -. Don Marco persona squisita. Lui è riuscito a capire il mio impegno per gli allenamenti e lui è stato il primo a riuscire a farmi abbinare il mio sport alla scuola".
Quanto è stato importante per te Gasperini?
"Fondamentale per me. Mi ha subito chiamato in prima squadra, io sono stato bravo a ripagare la sua fiducia".
E Conte?
"Lui mi ha consacrato, gli devo il 90% di quello che sono oggi. Mi ha trasmesso tanto a livello tecnico e di mentalità. Non è da tutti far esordire un 20enne nell'Inter".
Stephen Curry è il tuo idolo nel basket?
"Sì, peraltro è alto come me. Sogno di vederlo dal vivo. Lui ha un po' cambiato il basket, e mi somiglia per caratteristiche: un difensore che fa anche l'attaccante. Con i miei due fratelli ci accomuna la passione per il basket, mentre il più piccolo odia il calcio infatti non è mai venuto a vedermi giocare".
La scelta del numero 95?
"È proprio l'anno di nascita di mio fratello più grande. Una promessa che gli ho fatto. Lui è sempre con me".
Da bambino eri già il più forte? Il talento era visibile anche all'oratorio?
"Io ero il capitano e sceglievo gli altri. Ero il più forte. Provavano a metterla sul fisico, pallonate in faccia piene d'acqua... Al provino dell'Atalanta mi portò il papà di una mia compagna di classe, a 7 anni. E fino ai 19 anni sono rimasto lì".
Come mai ti chiamano Gerry?
"Tutto è iniziato a Parma con Dimarco, che dava nomi di animali a tutti i compagni di squadra. Mi chiama Gerry per la Giraffa Gerry, di cui non conoscevo l'esistenza del giocattolo... È diventato un nomignolo simpatico, tutti anche all'Inter mi chiamano così. Sempre bello restare un po' bambini, la spensieratezza è una bella cosa".
Il tatuaggio che hai con un bambino all'inizio di una scalinata: cosa rappresenta?
"È l'inizio del sogno di ogni bambino. Alla fine di questa scalinata c'è San Siro, che per me è sempre stato un sogno, alcune volte difficile da realizzare. Esserci arrivato con l'Inter è motivo d'orgoglio e spero di giocarci per ancora tanti anni. Io ho iniziato a salire queste scale, abbiamo vinto già uno scudetto e una Supercoppa con l'Inter e un titolo europeo con la Nazionale. Spero che sia solo l'inizio di un percorso che regali ai tifosi tanta gioia".
Da bambino studiavi?
"Ero attento in classe, ho sempre avuto una bella memoria".
Come sono i tuoi 'day off'?
"La playstation è stata bandita da casa, solo pannolini. Alla play ci gioco in ritiro, la lascio ad Appiano. mia figlia ha tre mesi e inizia a capire in che gabbia di matti è arrivata. Ci divertiremo. Il nome Azzurra? Adesso pensiamo di farne un'altra e chiamarla Nera per fare Nera e Azzurra (ride, ndr)".
Com'è cambiato il rapporto con tuo padre da quando anche tu sei padre?
"Bellissimo rapporto. Lui non è riuscito a sfondare da calciatore, quindi mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso, provando a non farmi ripetere i suoi errori. Era lui che mi accompagnava a Bergamo per allenarmi, abbiamo passato tanto tempo insieme. La famiglia è fondamentale. Ancora oggi mi dice che era più forte: 'Se solo avessi avuto la tua testa...', mi ripete".
Azzurra ha due nomi, si chiama anche Agnese. Un nome per te molto importante...
"Esatto. Si chiama anche Agnese per questa mia amica con cui ho condiviso le scuole dall'asilo alla seconda Superiore. Ero in Norvegia con la Nazionale Under-16 e mi arriva un messaggio da mio papà che mi racconta della sua morte. Lì per lì non è stato facile, eravamo i migliori amici, siamo cresciuti insieme. Fortunatamente cerco di prendere sempre la parte bella delle cose, per me è come se non se ne fosse mai andata. Quando entro in campo faccio sempre un gesto per ricordarla, come mi accade ogni notte prima di andare a dormire. Sono cose che a 15 anni ti segnano. Il calcio è importante, ma ci sono cose ancora più importanti e questi avvenimenti te lo ricordano".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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