Non si può sempre vincere. E invece sì. Si può... quantomeno fino ad ora. Parola della capolista. Dopo la vittoria di domenica scorsa contro la Juventus, arrivata di misura senza troppa arroganza e di 'corto muso' che, al netto di un +3 che si è spiegato da sé, aveva comunque lasciato qualche adito di 'testa alta' di troppo a chi cercava più alibi che autocritica, l'Inter va via da Roma con un sorriso sornione e un ditino poggiato sul naso che la dice lunga. Lunga come la strada ancora da percorrere (per la dirla alla Inzaghi) da qui a giugno: lunga, satolla di interruzioni, lavori in corso e deviazioni che non fanno certamente di questo successo uno stendardo a scacchi da sventolare. Sottolineare dunque l'avverbio utilizzato nel primo rigo è quasi obbligatorio: finora. Ma se il passato è passato e il futuro è ancora da scrivere tanto vale godersi il qui e ora, un hic et nunc che dice +7 (seppur momentaneamente) dalla seconda al termine di una grande, grandissima vittoria che non può non essere celebrata per quella che è stata, pietra miliare di una forza e forma psico-fisica che oggi non ha eguali e che consegna di fatto alla squadra di Simone Inzaghi poltrona, scettro e corona di preminenza inattaccabili. 

QUARANTANOVE MINUTI PER SOGNARE. Costretto a silenzio e lontananza per via della squalifica ma egregiamente sostituito da un ottimo Massimiliano Farris, ad aver vissuto peggio di chiunque altro le due ore di Roma è proprio quell'Inzaghi che a fine gara si è lasciato andare ad un'esplosione di emozioni sintetizzabili con la parola che più gli si addice, nomignolo cucitogli addosso dai social da inizio stagione e diventato ormai di uso comune: demone. Il demone di Piacenza esiliato nella tribuna stampa dell'Olimpico non poté che assistere inerme all'"inguardabile" primo tempo, come lo hanno definito gli stessi protagonisti a margine della gara, che aveva fatto sognare i 65mila romanisti presenti all'Olimpico e gli (improvvisi) amici di Torino, amichevoli all'occorrenza, senza poter muovere un dito né pronunciar parola. Toccasana per le sue corde vocali, per una sera straordinariamente a riposo: diversamente dalla panchina sarebbe stato capace di fare persino invasione di campo pur di svegliare dall'improvviso e inspiegabile assopimento e 'mollezza' i suoi. Brutti, sorpresi, straniti e schiacciati da furia, orgoglio, voglia di riscatto, e anche a tratti bellezza di un avversario che alla quarta uscita con il nuovo allenatore aveva cucito trame a maglie tanto strette da asfissiare la capolista. Primo gol che risponde al vantaggio messo a referto da Francesco Acerbi, nel giorno del suo compleanno e in quella che per anni è stata casa sua. Poi secondo: nato da una velenosa ripartenza concessa gravemente dalla squadra ospite che ha, di fatto, steso il tappeto rosso ai padroni di casa. Un quadro che per quarantanove minuti ha riesumato qualche spettro del passato, come ha ammesso lo stesso Farris a fine match. 

E QUANDO PENSO CHE SIA FINITA È PROPRIO ALLORA CHE COMINCIA LA SALITA, cantava proprio il grande romanista Venditti. E nel bel mezzo di una roboante gara a favore dell'oste che stava facendo dimenare in preda alle convulsioni l'ex José Mourinho quanto Simone Inzaghi, l'Inter si sveste del costume di bambina indifesa, colpita nelle sue certezze, indossato fino a quel momento e torna crudamente se stessa. Con un romantico assist dal karma, il plot twist fa ancora una volta di Marcus Thuram l'assoluto protagonista della crocifissione della Roma e a colpire la squadra del 'core ngrato' per antonomasia è come all'andata Tikus, l'attaccante acquistato come "riserva" di Lukaku e poi finito con l'esplodere grazie all'addio del belga, un addio che persino a distanza di mesi non ha però ancora svincolato il francese dal peso di un ingombrante e fastidioso paragone di cui è arrivato il momento di sbarazzarsi. Nel duello Marcus-Romelu ad avere la meglio è decisamente il primo: autore di un grandissimo gol (e mezzo) che rimette in pista la capolista, rivitalizzata dall'11esima rete dell'ex Gladbach. L'inter riprende gas, ingrana le marce e con un piede a martello sull'acceleratore si rimette davanti sbarrando ogni via possibile di eventuale preoccupazione. Dal 2-2 i nerazzurri non sbagliano quasi più niente (eccezion fatta per lo sfortunato palo di Pavard) e le esultanze successive a quella procurata dal figlio d'arte col 9 sulle spalle portano il nome di Angeliño (sempre con partecipazione di Marcus Thuram più uno splendido Mkhitaryan), Alessandro Bastoni, ma anche e soprattutto Yann Sommer, ipnotico e perfetto su Lukaku, in versione nerazzurra seppur con maglia giallorossa addosso. Il belga non solo non trova la porta nelle due grandi pallagol avute, è addirittura lui ad aver servito all'indietro il pallone che poi Acerbi manda in porta per il gol che sblocxa la partita. Se a San Siro l'ex numero 90 aveva giocato il ruolo di spettatore non pagante, all'Olimpico Big Rom ha giocato un brutto scherzo ai nostalgici. "Vecchio cuore nerazzurro", ha ironizzato qualcuno sui social, dove la rabbia dei 40 mila fischietti dell'andata è stata sostituita da ironia, pungente ma pur sempre tale: "più utile che a Istanbul". Sacrosanta verità popolare che difficilmente si può condannare o negare, se non altro perché all'ex compagno di reparto di Lautaro va dato un merito: quello di aver, una volta per tutte, liberato Thuram da un paragone che non dice nulla e che ad oggi, è il caso di dirlo, comincia ad essere scomodo soltanto per il centravanti della Roma, che si ritrova a dover constatare il crepuscolo dei suoi anni d'oro, mai più tali da quel lontano 9 agosto 2021. 

CORTO MUTO. Ma questo è solo un regalo di un karma che condisce con sale e pepe una serata in cui ad essere perfetto è l'epilogo. Ad una prima parte di gara completamente al di sotto delle aspettative, incolore, brutta e chi ne ha più ne metta che aveva non poco lasciato sbigottita buona parte dei tifosi nerazzurri, e aveva al contrario fatto luce su bellezza e coraggio di una Roma che con De Rossi sembra aver ritrovato serenità, leggerezza e voglia di riscoprire i propri mezzi, facendo piovere applausi anche dalle parti di Milano per l'ex 16 giallorosso, succede una ripresa che fa della prestazione dell'Inter una severa risposta che la squadra di Inzaghi manda all'intero campionato a corto muto: non si può sempre vincere. E invece sì... almeno finora.

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Sezione: In Primo Piano / Data: Dom 11 febbraio 2024 alle 08:42
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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