Wesley Sneijder è stato intervistato dal giornale che assegna il Pallone d'Oro, France Football. Un segno che sa tanto di incoronazione, come si legge ad inizio articolo, nell'introduzione all'intervista: "Se, come diceva Luigi XVIII, la precisione è la virtù dei re, allora Wesley Sneijder merita una corona. Un anno che gli ha permesso di diventare uno dei favoriti per il FIfa Pallone d'Oro". Oltre alle dichiarazioni di Sneijder emerse ieri, soprattutto su Mourinho e il Pallone d'Oro (vedi link sotto per chi se le fosse perse), nell'intervista si parla di tutta la carriera del numero 10 interista, da quando era bambino al Mondiale in Sudafrica.

Prima però, ripercorre la sua storia in nerazzurro. Il suo rapporto con Mourinho è iniziato prima che venisse all'Inter, quando ancora era un giocatore del Real: "Quando le cose andavamo male a Madrid, mi inviò dei messaggi per farmi venire all'Inter. Lui mi ha detto che ero un giocatore importante, mi ha fatto sentire di nuovo quelle sensazioni che prova un giocatore quando si sente apprezzato". Poi sempre sul portoghese, ha parlato così: "La cosa che più mi è piaciuta di lui, è stata la preparazione prima dei grandi match. Come la semifinale di Champions contro il Barcellona, per esempio. La sera della vigilia, Mourinho ci ha riunito. Quando sono tornato in camera, con Chivu, ci siamo guardati e ci siamo detti: vinceremo se facciamo esattamente quello che dice. Al ritorno, a Barcellona, avevamo un nuovo ordinamento tattico, ma le stesse certezze. Nell'intervallo, quando eravamo già in dieci contro undici ci ha detto: "Ragazzi, abbiamo il controllo della situazione. Loro attaccheranno e lasceranno degli spazi. Possiamo anche vincere questa partita". E per tutto l'anno è stato così". Tra tutte le partite memorabili della stagione perfetta, Sneijder sceglie quella dello Stamford Bridge: "Secondo me la migliore partita della stagione è stata Chelsea-Inter, con gol di Eto'o. Al Barcellona, Samuel non è mai tornato prima della sua metà campo a difendere. Nell'Inter, Mourinho l'ha fatto giocare anche terzino sinistro. Eto'o ha fatto per lui quello che probabilmente non avrebbe mai fatto per nessun altro allenatore".

Anche se gli fanno domande come "Ti ispiri a Cruyff o Van Basten, che hanno vinto tre volte il Pallone d'Oro?", Sneijder rimane tranquillo e con i piedi per terra: "Vincere questo premio non vuol dire diventare subito una leggenda. Per me sarebbe soltanto una tappa, un trampolino di lancio. Come tutti gli olandesi sono molto orgoglioso che Cruyff, Van Basten e Gullit abbiano vinto il Pallone d'Oro. Per questo mi piacerebbe vincerlo: per l'orgoglio del mio piccolo paese, per farlo tornare al centro della scena". Ma il giornalista di France Football insiste: "Pensi che ti daranno il Pallone d'Oro?". Questa la risposta dell'olandese: "Per me la cosa più importante è vincere la prossima partita, veramente! Perché la sola cosa che mi interessa è vincere. Vincere ogni partita. Sono ossessionato dalla vittoria. Questa mattina ho giocato con mio figlio: anche con lui, ho giocato per vincere. E sto male se perdo".

Sull'addio al Real Madrid, si esprime così: "Quando ho lasciato Madrid, nell'estate 2009, ho detto a mia moglie: "Non tornerò più qui". Lei mi ha risposto: "Si che tornerai, perché la finale di Champions 2010 è a Madrid". Quando stavo lasciando il Real, mi sono detto: "Devo andare avanti e dimostrare sul campo quanto valgo".Quando ho incontrato Florentino Perez la sera della finale, gli ho stretto la mano perché lo rispetto. Senza rancore e risentimento".

Poi ripercorre il suo Mondiale, giocato da assoluto protagonista: "Nella prima partita abbiamo giocato male, ma abbiamo vinto. Nella storia della nostra nazionale è sempre successo il contrario: se giocavano male, perdevano. Ma il fatto di vincere giocando male ci ha dato una forza mentale nuova e così abbiamo vinto anche contro il Giappone e la Slovacchia. Se lasci spazi all'Olanda, sei morto. E anche il Brasile ci ha lasciato spazio. Abbiamo vinto 2 a 1 e ho pure segnato di testa". In finale, però, l'Olanda si è dovuta arrendere alla Spagna, anche se solo nei minuti di recupero: "Cosa ci è mancato per vincere il Mondiale? Tre minuti e un po' di fortuna. Se prendi i giocatori spagnoli individualmente e come squadra, hanno più qualità di noi. Ma una finale è una finale. E' una partita diversa, unica. In quella finale la Spagna non aveva giocato com'era abituata a fare. Sentiva la pressione. Chissà cosa sarebbe successo se Robben avesse segnato… E' una questione di dettagli".

L'intervista era iniziata con una domanda sul primo ricordo sul calcio: "La prima partita a cui ho assistito da bambino? In effetti c'è una partita dell'Ajax che mi ricordo. Quando ero nelle giovanili dell'Ajax all'età di sette anni andavamo ad assistere alle partite della prima squadra con l'obbligo di guardare il giocatore che giocava nel nostro stesso ruolo. Io all'epoca giocavo centrocampista davanti alla difesa e il giocatore che dovevo osservare era Edgar Davids. Poi di lunedì il nostro allenatore ci chiedeva cosa ne pensassimo e io ho dovuto dirgli quello che pensavo della partita di Davids, a livello difensivo e offensivo. Ma avevo solo sette anni". Poi ripercorre la sua giovinezza, trascorsa tra le fila dei lancieri: "L'Ajax è speciale. Anche se è stata dura: all'Ajax è come a scuola, sei sempre messo alla prova. Alla fine di ogni anno c'è una riunione per vedere se sei passato al livello successivo. Se sei bravo resti, se no devi tornare a casa. Dei diciotto compagni che avevo in squadra quando avevo sette anni solo uno è rimasto con me fino alla prima squadra: Heitinga. All'Ajax non conta solo il talento, ma anche come ti comporti fuori dal campo: come vai a scuola, a che ora arrivi al campo di allenamento, cose del genere. Per diventare un grande calciatore, bisogna rinunciare a molte cose. E quando hai sedici anni è dura. Io però ho seguito la mia ambizione senza distrazioni". Il segreto dell'Ajax? Continuare a migliorare: "Ci facevano lavorare molto sui nostri punti deboli. Così tornavo a casa e mi esercitavo: nel tiro, nella tecnica individuale… Alla fine della settimana bisogna passare un esame. Se non lo superi, avrai del lavoro extra la settimana successiva. Mi ricordo che a undici anni mi è stato fatto fare un lavoro di aerobica. Venti minuti tutti i giorni, per migliorare lo spostamento, la gestione del corpo e i movimenti dei piedi. Alla fine dell'anno mi sembrava di danzare: era incredibile il modo in cui muovevo il mio corpo".

David Endt, direttore sportivo dell'Ajax, dice che Sneijder, appena arrivato all'Ajax, era già molto ambizioso e aveva fiducia nel suo talento. L'olandese è completamente d'accordo con lui e spiega perché: "All'epoca avevo un obiettivo: giocare nell'Ajax. Quando l'ho raggiunto, la tappa successiva era far parte della nazionale. E l'ho raggiunta. Poi l'obiettivo è stato diventare un giocatore di una grande squadra spagnole, Barça o Real, perché mi piaceva il calcio spagnolo. Bisogna sempre essere ambiziosi nella vita. Adesso voglio diventare il migliore al mondo. Mourinho, Iniesta e Schweinsteiger hanno parlato di me per il Pallone d'Oro: lo apprezzo molto".

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Sezione: FOCUS / Data: Mer 01 dicembre 2010 alle 13:21 / Fonte: France Football
Autore: Guglielmo Cannavale
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