L’Inter chiude l’anno svelando il colpevole dell’improvviso calo di rendimento e delle tre sconfitte in serie. Non si tratta di stanchezza fisica ma soprattutto di una mentalità vincente che da anni questa società e il suo ambiente non riescono a riprodurre, accontentandosi di qualche buon risultato scambiato per l’inizio di una nuova era. Ogni anno da sei anni. Spalletti se n’è accorto e ha tentato, già dall’estate, di esaltare la qualità di ogni singolo giocatore, ha gonfiato all’estremo la positività dell’atmosfera e ha parlato da generale. Il tema della positività è interessante perché ne fa largo utilizzo anche il suo collega Massimiliano Allegri, quando catechizza nelle conferenze stampa i giornalisti, invitando qualcuno di indefinito ad avere fiducia e a piantarla con la negatività.
Posto che non sono certo i giornalisti a dover raccontare che va tutto bene, è invece utile comprendere che anche Spalletti rivolge lo stesso invito usando la stampa come sponda, mandando messaggi al contesto nerazzurro, fatto da persone che evidentemente non remano dalla stessa parte. Il tema dell’energia positiva è relativamente moderno e Mourinho ha lasciato un’eredità pesante, raccolta dai colleghi che grazie a lui, hanno fatto un aggiornamento professionale nel campo della gestione di un gruppo.
La partita con la Lazio è arrivata nel peggiore dei momenti, dopo aver perso le certezze maturate in quattro mesi e senza il tempo di rifiatare, in seguito ad una sfida durata 120 minuti e terminata male nel derby di tre giorni prima. Le premesse non erano delle migliori, perché giocare contro un avversario di pari livello, con una panchina più lunga e un giorno in più di riposo, implicava un alto rischio di stanchezza che alla fine si sarebbe potuta pagare. Basti pensare che la Lazio ha fatto uscire tre giocatori importanti sostituiti da gente con un tasso tecnico elevato come Nani, Lukaku e Felipe Anderson. La partita è stata intensa nei duelli in ogni zona del campo, entrambe hanno avuto più di occasione per andare in vantaggio e il pareggio è tutto sommato giusto. Più di ogni cosa però salta all’occhio il modo in cui l’Inter ha iniziato la ripresa, considerando le ultime partite. Aggressiva, centrata nella partita, combattiva e cattiva, persino umile considerando la scorta di energie residua.
Dopo la metà del secondo tempo ha mollato la presa, si è ritirata e ha sofferto per poi chiudere la partita in avanti. Questo significa che non si tratta di calo fisico, non per tutti almeno, ma pura e semplice mentalità di giocatori sprovvisti di cultura della vittoria. Non è nemmeno una colpa, quanto piuttosto una caratteristica. Il calo di Icardi e Perisic è stato verticale, come quello di Candreva, ovvero i tre giocatori più pericolosi dell’Inter. Se l’italiano però appare generoso all’eccesso, sbagliando nell’atteggiamento (la brutta reazione ai tifosi che lo insultavano e per mancanza di lucidità, giocate semplici e cross al terzo anello, per i nostalgici di Guarin, nel caso del croato e dell’argentino si tratta di altro. Proprio perché determinanti, nel loro bagaglio mentale non hanno mezze misure: o straripanti o assenti. La panchina, come si ricordava a inizio stagione, è clamorosamente insufficiente per una stagione da vertice e ad alto rischio per il quarto posto Champions, se si considera che in attacco non esiste un’alternativa a Icardi, a centrocampo Joao Mario si è inabissato da solo e un paio di infortuni hanno messo in croce il reparto difensivo, con il pubblico di San Siro a tifare perché Ranocchia restasse in campo, dopo un brutto colpo. A questo proposito è un piacere vedere la conferma del centrale ad un livello finalmente buono. C’è solo da sperare che prosegua nella crescita mentale, vero nemico nella sua carriera. Varrebbe anche per Santon ma il “bambino” è sempre incostante. Questa volta ha giocato bene, con la Fiorentina non si sa.
L’Inter tornerà in campo venerdì sera ma il vero problema è non sapere con che atteggiamento. Potrebbe misteriosamente rimettersi a sedere e subire la Fiorentina o fare una partita autorevole. Il guaio è che da troppi anni l’Inter sceglie giocatori bravi ma discontinui, dal temperamento ballerino e un ingiustificato senso di appagamento. Mancano i fuoriclasse si dice. Vero ma se non si hanno i soldi si dovrebbe cercare gli uomini, ancora prima dei campioni presunti. Si è pagato una discreta cifra il povero Dalbert, l’anno scorso 40 milioni per Joao Mario, ogni anno si punta su Brozovic che gioca in punta di pantofola. Si guarda al tasso tecnico e poco al temperamento. Questa estate Kolarov era ad un passo e si è rinunciato per una manciata di milioni, un giocatore come il “Papu” Gomez, ha grinta, classe e gioca ogni partita con la mentalità giusta, vicino all’Inter le scorse stagioni ma ormai è tardi per poterlo prendere.
Servirebbe una società (alla voce Suning) determinata e ambiziosa al superlativo assoluto, giocatori vincenti nello spirito e per ora l’investimento più giusto, oltre a Skriniar, è stato quello di Spalletti, già ridimensionato dai soliti impallinatori di allenatori, quelli per cui se le cose non vanno bene, il tecnico è il primo da svalutare. Per ora va bene così, pari con la Lazio, emorragia fermata e speranza di acquisti, possibilmente non il 30 gennaio. Buon anno a tutti voi. Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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