Chissà quali metafore si immaginava a inizio stagione Luciano Spalletti per descrivere la nascita di questa nuova Inter, il cui potere sta nel collettivo. Se ha usato slogan banali, come l’unione fa la forza. Oppure ha cercato qualche riferimento più articolato, com’è nel personaggio: magari un riferimento ad una massa travolgente che avanza incessantemente, trasmettendo un senso di vittoria. Sì, il Quarto Stato dell’Inter non è realizzato da Pellizza da Volpedo, bensì dai dieci giocatori che sono andati a segno nel corso di queste prime otto partite. Solo Icardi e Perisic hanno realizzato due gol, per il resto è stato un avvicendarsi di marcatori che hanno fatto guadagnare punti importantissimi e che hanno issato l’Inter a tredici punti, due dietro il Napoli. In più, tre partite consecutive l’Inter non le vinceva dal dicembre scorso, quando inanellò i successi contro Atalanta, Cagliari e Chievo. Proprio contro l’ex squadra di Maran, l’Inter vinse e guadagnò per la prima volta da tempo immemore la testa della classifica, illusione momentanea prima di un inverno durissimo. L’emblema di quella squadra era la solidità difensiva che la squadra di Spalletti ha ritrovato in questo trittico di partite (4, con il Tottenham) dove ha subito gol solo a causa di un rimpallo su Miranda. Per il resto, ha saputo gestirsi e avere la meglio su Sampdoria, Fiorentina e Cagliari. Vittorie diverse, accumunate dalla capacità di saper soffrire e colpire al momento giusto. Il tecnico interista ieri ha voluto attuare il primo, massiccio turnover della stagione, schierando ben sei giocatori diversi dall’undici titolare contro la Viola. Il risultato è una partenza sprint, con un uomo sugli scudi: Lautaro Martinez.
IL NOME DEL TORO - Era il più atteso, non ha deluso. Forse è questa la vera sorpresa del nuovo numero 10 dell’Inter. Dopo la collettiva debacle contro il Sassuolo, Martinez è stato ributtato nella mischia nel suo ruolo naturale, la prima punta. Ci ha messo dodici minuti per segnare il primo gol in Serie A, svettando tra i centrali del Cagliari e beffando Cragno. Poi l’esultanza, con Dalbert che mima le corna del Toro e lui che mostra il nome dietro la maglia. Come a dire: abituatevi, io ho appena cominciato. La partita di Lautaro si gioca ad un altissimo livello di intensità: in fase di non possesso si muove tra le linee, isola i portatori di palla avversari, rende difficile la risalita del campo al Cagliari. È lui, insieme a Nainggolan, a dettare il ritmo del pressing. Recuperata la palla, si inventa una giocata per velocizzare il gioco, oppure si muove fra le maglie avversarie, sempre in agguato. Il primo ruggito non si scorda mai, anche se nel secondo tempo il Dieci si spegne, appannato come tutte le seconde linee dalla stanchezza. Per un momento pare pure dover uscire per far posto a Keita: poi Borja chiede il cambio e rimane dentro fino alla fine. Dei tanti attaccanti passati all'ombra del Meazza, Martinez ha mostrato sprazzi intriganti, da vero craque. Spalletti dovrà gestirlo, stimolarlo, farlo adattare al meglio perché in una stagione logorante ci sarà necessario bisogno anche dei suoi colpi per vincere partite come quella contro il Cagliari.
I TANTI DELL'INTER - 12 gol, dieci marcatori diversi. Il Cagliari è in crisi di gol, non segna da due partite ma è una squadra viva, che ha messo alle strette l’Inter senza mai impensierirla davvero, a parte per il gol giustamente annullato per il tocco di mano di Dessena. Questo perché gli uomini di Spalletti hanno saputo gestire la gara, con la pecca di non essere riusciti a chiuderla fino al 90’, quando Politano si inventa un gol bellissimo che corona un inizio di stagione importante. Brozovic definisce ulteriormente il suo ruolo di leader della squadra, chiamato nel secondo tempo a entrare per mettere ordine e far girare il pallone insieme a Borja Valero. Lui entra in partita fin da subito, non si prende pause e conduce la barca in porto. Sebbene in alcuni tratti risultasse sfilacciata, l’Inter ha dato una grande prova di solidità. I 90 minuti fatti giocare a Radja Nainggolan, allo stesso modo, certificano l’idea che Spalletti ha del belga in questa Inter: imprescindibile. Non rinuncia a lui nemmeno sopra di un gol, perché sa che se le cose si dovessero mettere male, l’Inter si appoggerebbe soprattutto su di lui. Non a caso, è suo il pallone illuminante che apre il campo a Candreva per il possibile 2-0, che l’ex Lazio si divora davanti a Cragno.
L'ORA DI DALBERT - Infine, sugli scudi, nel susseguirsi di cambi, non può che esserci il terzino sinistro di riserva che sta provando a ritagliarsi un suo senso d’essere in questa squadra. Dalbert ha incominciato la stagione con il compito difficile di tramutare i fischi di San Siro in applausi: ieri sera, timidi, ma ci sono stati, anche dopo qualche imprecisione. Il brasiliano ex Nizza ha iniziato la partita benissimo, aggredendo alto e con il merito di aver dato la palla giusta per la spizzata di Martinez. Poi non si è accontento e ha lottato su ogni pallone, accorciando sull’esterno e - questa volta sì - arrivando sempre sul fondo per crossare. Questo Dalbert 2.0 non crolla nemmeno sul più bello, quando c’è da difendere il risultato. Come tutta l’Inter, che ora è chiamata a completare l’opera contro PSV e SPAL, per arrivare alla seconda sosta per le Nazionali con un umore totalmente diverso rispetto ad un mese fa. Perché a volte, come diceva Al Pacino in quel vecchio film, è tutto un gioco di centimetri.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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