Alle radici di Denzel Dumfries. Il magazine SportWeek propone un reportage nei luoghi dove l'esterno olandese dell'Inter è cresciuto, raccogliendo le voci di chi lo ha visto diventare un calciatore. Partendo da un aneddoto legato alla sua scarsa propensione al sorriso: colpa di un tacchetto maledetto che gli fece perdere entrambi gli incisivi:  "Cercò di controllare il pallone, ma perse l’equilibrio e finì col viso a terra. Ci rimase così male che tornò a casa in bicicletta, in lacrime, deluso come non mai", racconta chi lo conosce. Dalle parti di Barendrecht lo conoscono ancora come il 'motorino', e Marcel van den Eijnden, decano della società dove Dumfries ha mosso i primi passi, racconta di lui: "Ha giocato qui fino a 17 anni. Quand’era più giovane Feyenoord ed Excelsior lo scartarono perché non lo ritennero abbastanza bravo. Nel 2014 è volato allo Sparta Rotterdam, il resto lo vediamo oggi".

Peter Van der Pennen, il suo primo allenatore, aggiunge: "Lo vidi per la prima volta nel 2007, fu aggregato a un gruppo già formato ed era il più piccolo. Ricordo la sua determinazione. Una volta, durante la rifinitura, provò uno schema dozzine di volte perché vedeva imperfezioni. Non eramai contento, ma quando finiva in panchina restava di ghiaccio. Suo padre raccontò che quando rientrava a casa scriveva sulle pareti la formazione tipo. Era una spugna. Ascoltava con occhi attenti ogni disposizione tattica, ma quando perdeva diventava intrattabile. C’è una scena indimenticabile nella mia mente:  in una gara di campionato perse palla dopo aver provato un dribbling e si inginocchiò sbattendo i pugni sull’erba. Era arrabbiato con se stesso per non essere riuscito ad aiutare la squadra. Aveva 13 anni. Nelle settimane successive riprovò quell’azione diverse volte. Migliorarsi era unamissione, chiedeva consigli e dritte di continuo". Jordi Dekker, ex compagno, aggiunge che già da ragazzino Dumfries aveva un carattere indomito: "Denzel non ha mai avuto paura di niente e di nessuno. Una volta si presentò al campo e disse chiaro e tondo che sarebbe diventato un calciatore professionista. Molti compagni risero, ma c’è un motivo: se hai 17 anni e giochi ancora nello Smitshoek, o giù di lì, è molto difficile sfondare. Denzel, però, era l’unico a crederci sul serio. Ha sempre avuto una spiccata personalità: a scuola rimproverava i ragazzi più grandi, in campo rincorreva chiunque. Una volta, dopo un gol subìto all’ultimo secondo, afferrò un compagno per il colletto. Gli disse a brutto muso che era colpa sua e che avrebbe dovuto stare attento, poi si scusò. Era impulsivo. Noi avevamo rinunciato al sogno di una vita, Denzel invece no. Ci ha creduto fino in fondo". 

Sezione: News / Data: Sab 17 maggio 2025 alle 18:37
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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