C'è chi, immediatamente dopo il suicidio nerazzurro in terra emiliana, parla di harakiri. Accostamento infedele e probabilmente dissacrante rispetto al reale significato di quello che un tempo era uno dei rituali dell'antico Giappone, ritenuto privilegio esclusivo riservato ai samurai. Il seppuku non è (era) altro che un taglio del ventre eseguito, secondo un rituale ben stabilito, come espiazione di una colpa o per sottrarsi ad una morte disonorevole. Sottrazione ad un disonore mai avvenuta per la squadra di Simone Inzaghi che come un cane che arbitrariamente decide di farsi del male, ruota su se stessa e finisce a mordersi la coda, finendo per commettere un disonore piuttosto che sottrarsi ad esso. Dopo la vittoria allo Stadium e quella del derby, i nerazzurri sembravano essere tornati un'indomabile e irrefrenabile furia assetata di vittorie con l'unica e solo obiettivo chiamato seconda stella. 'Goal' espressamente dichiarato dai protagonisti che contro la squadra di Mihajlovic però non riescono a tradurre in fatti quella determinazione tanto forte espressa a parole e al contrario scivolano su una saponetta che consegna la matematica possibilità di titolo ai cugini, ora unici padroni di uno scudetto che ancora una volta non accenna a cedere alle avance dei pretendenti. All'ombra della Torre degli asinelli, l'Inter sembra non essere più Inter, e - per dirla alla Inzaghi - un po' per mancanza di cinismo, un po' per mancanza di un episodio - non sfruttato a pieno -, i nerazzurri finiscono per compiere il più grande dei cliché interisti: sprecare le occasioni, complicarsi la vita e rischiare una morte autoindotta.
PERISIC FA, RADU DISFA - Il fotofinish di quanto accaduto a Bologna ieri sera è l'immagine di Ionut Radu in sincero pianto di disperazione dopo aver regalato pallone e vittoria ai padroni di casa. Se Perisic fa, Radu disfa e con un vero e proprio assist a Sansone che accetta il regalo, mette in salita match e corsa scudetto. Un gesto che praticamente annichilisce l'iniziale vantaggio sottoscritto dal gran golazo di Perisic che dalla distanza mette in rete un gran pallone che al 4' minuto sembrava mettere in sicurezza una gara mai stata realmente sotto egida dei campioni d'Italia. Costretto improvvisamente alla titolarità per la prima volta in stagione per via del forfait dell'ultimo momento di Samir Handanovic, il canterano nerazzurro pecca di un errore gravissimo dal peso della seconda stella che finisce per erigerlo a capro espiatorio di un insuccesso che, partita alla mano, porta il nome di tutti. Errori individuali più equamente o meno divisi tra gli uomini di Inzaghi che eccezion fatta per l'unico marcatore per la squadra ospite non lascia spazio a grandi sufficienze. Uno più cincischiante dell'altro per una danza dell'inettitudine che sembra scrivere un ennesimo deprimente capitolo visto e rivisto che sa tanto di déjà-vu o più semplicemente di costante.
CLICHÈ E ASTERISCHI - Come spesso accade nei più ridicoli e tristi cliché a tinte nerazzurre, l'Inter spreca le occasioni (metaforicamente e non) di segnare e decidere (risultato di campo e classifica). E un po' come contro l'Udinese nella scorsa stagione, alla fine del girone d'andata, la squadra di Inzaghi brucia letteralmente la possibilità di sorpasso sui cugini e la possibilità di riprendersi la vetta di una classifica che oggi, in proiezione, non sorride più, spostando al contrario sorrisi e ilarità nella Milano sud, oggi come mai libera di far valere tutto il 'sentimento' (e l'orgoglio) di cui si è parlato. Lo scomodo asterisco - come lo abbiamo definito -, è stato spazzato via e con esso persino tutte le inutili e becere lacrime di chi credeva "che sarebbe stato molto più corretto se tutte le squadre oggi avessero le stesse partite giocate", rimettendo in pari un calendario che oggi non lascia più scuse ma solo possibilità e/o rimpianti, più o meno giocabili, più o meno godibili, in un verso o nell'altro.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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