Il quadrante del destino. Istanbul è il teatro dei sogni, dove tutto può succedere. Pronti, partenza, si parte. Il City sente la pressione addosso sin da subito e, per quanto Guardiola abbia modificato l'assetto difensivo negli interpreti, l'ambiente circostante è infuocato perché l'Inter ha i connotati della padronanza. L'Inter sa cosa fare, guida la pressione sulla seconda linea, trasmette le certezze ad ogni pedina in entrambe le fasi. Segue la sua natura ed è giusto così. Il percorso dell'apologia della fatica è lì, e i nerazzurri si ritrovano concentrati in quella sacralità che gli appuntamenti come questi denotano senza indugio. Serve essere carichi il giusto, nemmeno un pizzico di più. Serve capire ogni traccia dei Citizens e la prima frazione è un'onda oscillante, di conclusioni errate, passaggi fuori misura. E' quella tensione che induce allo sbaglio. Sono esseri umani le pedine, e anche l'errore è un modo di arrivare alla metà, di lasciare qualcosa ai propri rivali: il fuoco, la passione, il pepe. Senza preoccuparsi delle conseguenze. Vivere l'attimo è fondamentale: Haaland impegna Onana alla respinta posizionale, De Bruyne ha la sfiga delle finali ed è costretto all'infortunio. Serve diligenza, non solo l'istinto.
LA VIA DELLA LUCE. I tre centrocampisti del City vengono presi sistematicamente dalle pedine nerazzurre. E l'avanzamento è progressivo, costante, minuzioso in tutti gli aspetti. Sotto il cielo di Istanbul il secondo tempo inizia com'era finito il primo, con la truppa di Guardiola in completa confusione. Ederson e Akanji la combinano grossa senza capirsi, Lautaro manca nella lucidità: perché il Toro aveva il tempo per la scelta decisionale corretta. C'era Brozovic completamente da solo al limite dell'area pronto a cogliere il deposito verso la rete avversaria. Bastava un rimorchio e sarebbe stato il vantaggio. La via della luce è nell'ossigeno per gli inglesi: Stones più volte è in difficoltà fisica, e allora i nerazzurri provano a sorprenderli pungendo con fisicità e dinamismo. Nell'opacità lucida l'esecuzione perfetta è geometrica: l'arco del compasso di Rodri, che fa passare il pallone in uno spazio piccolissimo.
L'INCREDULITÀ DELLE EMOZIONI. Onana è battuto e il City passa in vantaggio, mandando in visibilio il muro azzurro. La reazione nerazzurra è praticamente immediata perché l'Inter sta bene ed è sfortunatissima quando Dimarco s'infila tra la difesa tutt'altro che impeccabile dei citizens: la traversa grida vendetta e quella deviazione galeotta è una scheggia della fortuna inglese. L'impronta di una cura imprecisa su entrambi i lati del confronto è particolarmente evidente. Ogni volta che l'Inter alza i giri del motore, là dietro il City barcolla, non sa quali criteri adottare difensivamente soprattutto sulle palle alte nei cambi di fronte. Clamorosa, incredibile, assurda, senza senso l'occasione sul binario di Big Rom. Ederson la prende di puro istinto probabilmente senza nemmeno sapere come mai gli fosse arrivata addosso. Bravissimo Gosens che crea la situazione in cui il City va sempre in difficoltà, sovrastando Bernardo Silva sul cambio lato e sulla difesa degli esterni.
Ma il segno del destino è quello lì, della rete che non si gonfia nemmeno per sbaglio. Gli assalti sono continui ma Guardiola porta la prima Champions ai citizens. Incredibile, surreale. Il City è campione d'Europa per la prima volta nella sua storia. Il Treble è realtà, tra l'incredulità di emozioni assurde. Inspiegabili. Perché l'ineffabile è sempre surreale.
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