Quattro sconfitte in 8 partite, due consecutive. Gol segnati: 14. Gol subiti: 13. Bisogna tornare al 2011 per registrare una partenza così deficitaria dell'Inter in campionato, nella stagione iniziata con Gian Piero Gasperini e proseguita con due cambi in panchina e un sesto posto finale. Premesse demoralizzanti, con lo spauracchio del Barcellona in arrivo martedì per quella che rischia di diventare un'ultima chiamata in ottica Champions League.

In tutta franchezza, anche il più pessimista dei tifosi non si sarebbe spinto così in là. Simone Inzaghi sta facendo enorme fatica, perché non ci sono prove o segnali che la squadra gli stia remando contro in una delle pratiche più in uso negli spogliatoi scontenti. Se così fosse, basterebbe sollevarlo dall'incarico per ottenere risultati, come accaduto nel 2010 con Leonardo al posto di Rafa Benitez. Il problema è più serio e la condizione atletica non va più annoverata come il principale.

La partita contro la Roma ha certificato ciò che era nell'aria: questo gruppo è vittima del più classico "vorrei ma non riesco". Ci prova, si lancia all'attacco, va persino in vantaggio ma poi mostra il classico braccino che lo porta a commettere il classico errore banale che ribalta emotivamente l'andamento della gara. È successo nel derby, a Udine e ieri contro i giallorossi: quando sembra andare tutto per il verso giusto, ecco l'episodio contrario che spegne l'entusiasmo e non riesce a riattivare l'anumus pugnandi della squadra.

In verità, contro la Roma nella ripresa c'è stata una reazione, più di pancia che lucida. Ma senza risultati che andassero oltre la traversa di Hakan Calhanoglu su punizione. Poi, l'ennesimo errore che da certi giocatori non ti aspetti e cala il sipario con largo anticipo, perché pur con altri 20 minuti da giocare la sensazione è che ogni disperato tentativo di pareggiare sarebbe stato infruttuoso. Colpa dell'ansia, della paura di fallire che conduce dritta al fallimento, della mancanza di cattiveria agonistica positiva, non nervosa. Un esempio: poche ore dopo il Milan subisce il pareggio al 92' ma non accetta quella che sarebbe una sentenza per chiunque. Palla al centro, lancio lungo e con 5 giocatori in area arriva la rete del nuovo vantaggio. Certo, c'è anche una buona dose di fortuna che ai nerazzurri sta terribilmente mancando, ma la fortuna va anche cercata e assecondata con la mentalità corretta.

Quella di cui l'Inter oggi è prova e che supplirebbe anche alle pesanti assenze di Marcelo Brozovic e Romelu Lukaku. In questa Inter c'è confusione: sono confusi Inzaghi nelle sue scelte (soprattutto a gara in corso) e i giocatori nei momenti cruciali. C'è insicurezza, ereditata in campo dalla situazione societaria, a conferma che la squadra è lo specchio della gestione del club. Andando avanti così, prima o poi i calciatori avrebbero subìto il contraccolpo della navigazione a vista, è inevitabile che accada. E senza un allenatore in grado di agire da parafulmine senza perdere il controllo (il tecnico piacentino è alla prima esperienza così forgiante) la disfatta è una naturale conseguenza. I giocatori non vedono consapevolezza nell'allenatore, l'allenatore viene a sua volta tradito dai pilastri della squadra che confermano di non essere dotati della personalità necessaria e trarre in salvo la nave dalla tempesta.

La volontà c'è e si vede, mancano le capacità e gli strumenti necessari. E con il senno di poi, che inevitabilmente entra in gioco in questi casi, ci si rende conto di quanto ascendente caratteriale avesse Ivan Perisic nel gruppo: un trascinatore in campo, una personalità in grado di trainare tutti i compagni. Quello che, in assenza del suo 'erede' spirituale, Lukaku, sta mancando all'Inter. E se i leader riconosciuto come Milan Skriniar, Nicolò Barella e Samir Handanovic perdono la bussola o faticano a reagire (solo Lautaro Martinez rimane connesso), c'è poco da essere ottimisti.

Sezione: In Primo Piano / Data: Dom 02 ottobre 2022 alle 17:40
Autore: Redazione FcInterNews.it / Twitter: @Fcinternewsit
vedi letture
Print