Sfaldati, crollati sulle gambe come chi parte a razzo e finisce senza benzina; soprattutto, appiattiti sul solito andazzo, quello che conosciamo bene e frequentiamo da anni, con le strisce positive che si interrompono e danno spazio a epoche buie che l’Inter non riesce mai a contenere e ricacciare dentro i limiti fisiologici di una partita o due. No, da queste parti c’è il vortice, e nel vortice vola via tutto, a iniziare da quanto di buono è stato fatto nel percorso precedente. La Coppa Italia non era il primario obiettivo stagionale, il tracollo di ieri sera difficilmente sarà decisivo ai fini del bilancio che trarremo a maggio, e mille altre consolazioni di bassa lega potrebbero tenerci su l’umore. Il problema, forse, non è neanche il derby perso ai supplementari, ché la classifica e i due di campionato contano di più. Il punto è, semmai, che si cercava una risposta, una verità: dopo le due sconfitte consecutive, lo spauracchio del consueto crollo psico-fisico-emotivo e chi più ne ha più ne metta aveva bisogno di una secca smentita prima dello scontro diretto con la Lazio. Invece, ecco la prova che, come da proverbio, arriva dal terzo indizio.
Se appunto si tratti di una questione di carattere fisico o mentale, questo lo sapranno soltanto Spalletti e il suo staff. Spesso, peraltro, tale discernimento non è facile neanche per chi è quotidianamente con la squadra, dal momento che il calo fisico, una volta che ha già provocato i primi insuccessi sul campo, inevitabilmente finisce per affossare anche il morale della truppa, cosicché la squadra non riesce a rialzarsi neppure quando le gambe tornano a girare. Da queste parti, poi, i numerosi crolli del passato fanno la parte dei fantasmi ingombranti, quelli con cui lo zoccolo duro della rosa è chiamato a convivere, ognuno chiuso nel timore che le proprie doti, quelle dei compagni, quelle della società non siano in fondo davvero degne dell’alta classifica: dopo tanti anni di insuccessi, iniziare a pensarla così diventa abbastanza automatico, nel momento in cui si incappa di nuovo nei primi sintomi del vecchio male. È un circolo vizioso, insomma, e non se ne esce più. L’unica differenza, al di là dei pochi nuovi innesti dell’estate, è nelle capacità di sapienza e razionalità che Luciano Spalletti ha sviluppato nei bollori della piazza romana: qui non c’è fermento, semmai paura e comprensibile pessimismo, dalla squadra agli spalti fino ai divani. Maneggiarlo con cura, e nasconderlo sotto ettolitri di umiltà come è stato fatto finora, sarà appunto il compito ingrato e fondamentale del tecnico di Certaldo.
È palese, però, come a questa squadra occorra anche una decisa accelerazione su quella via che doveva condurla a parlare un nuovo linguaggio calcistico. C’è stato un momento della stagione, dopo le primissime gare, in cui l’Inter era parsa ormai incamminata su un percorso virtuoso, volto a un calcio che sapesse sfruttare le corsie esterne come ricercare invece un differente tipo di movimento, con tocchi più brevi, scegliendo l’uno o l’altro spartito a seconda dell’avversario e della brillantezza di cui in quel giorno i nerazzurri pitevano disporre. La corsa al vertice, mai così poco generosa in termini di pause come quest’anno, ha tuttavia preteso un’Inter sempre perfida, infallibile: si è dunque restati aggrappati alla propria identità, nella minima difficoltà si è cercato il gol con l’ormai ben noto traversone da destra, a cercare la zuccata di Icardi o la sponda di Perisic sull’altro palo. Si è smesso di sperimentare e di crescere, dunque, col risultato che poi la brillantezza è venuta meno, e il copione che prima funzionava è diventato una sorta di condanna. C’è adesso l’impellenza di uscire da questa gabbia, e in tal modo però si correrebbe il rischio di togliere anche le sue elementari sicurezze a una squadra che deve riprendersi al più presto: tale contraddizione, tale aporia, è risolvibile soltanto dal tecnico.
Elementi di novità, pur dentro il consueto 4-2-3-1, potrebbero essere costituiti dall’altissima qualità di Cancelo, una delle poche note liete della serata di ieri. Il portoghese è certo in difficoltà nella fase difensiva, ma questa difficoltà sembra esplicarsi più nei movimenti che in un’attenta disposizione del corpo e lettura dell’avversario nell’1 contro 1, fondamentale nel quale il portoghese non sfigura nemmeno quando la palla ce l’hanno gli altri: son dunque margini che potremmo definire più tattici che naturali, e dunque estremamente recuperabili con l’asfissiante lavoro in allenamento da parte di Spalletti. Con un Cancelo a mille in più, l’Inter potrebbe trovare una nuova variabile pur restando all’interno del suo gioco e del suo spartito tattico, e ciò sarebbe un piccolo capolavoro. Difficile, però, pensare che questa squadra possa ritrovare un andamento da vertice senza l’ultima correzione, un uomo di qualità che detti i tempi tra le linee e fornisca l’ultimo passaggio per vie centrali a Icardi, oppure il penultimo all’esterno che, in tal modo, non sarebbe più costretto a crearsi da solo lo spazio per il cross, col risultato di sfoderare un traversone ritardato e dunque facilmente leggibile dalla difesa avversaria. Brozovic, se volesse, potrebbe anche somigliare a questo Mr. X, ma il tempo delle mele è finito. Joao Mario, invece, sembra già un oggetto dai contorni diradati, in attesa che il mercato di gennaio lo ricollochi altrove. Servono novità, serve movimento e un qualcosa che stupisca noi prima ancora che gli avversari. Ciò darebbe imprevedibilità e insieme, fiducia ed entusiasmo ai nerazzurri, che forse sul consueto copione si sono anche un po’ appiattiti. Ecco, contro i fantasmi non c’è rimedio migliore.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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