Le emozioni della stracittadina definiscono l’autentica consapevolezza. Inter e Milan si fronteggiano, negli spogliatoi, pronte a dominare i vortici delle proprie certezze. Nello sviluppo piolista filtra sin dal calcio d'avvio la novità rivoluzionaria: attesa nella propria metà campo, marcatura a uomo dei centrocampisti e un'estensione del filo protettivo sugli esterni bassi. Facendo densità al centro del campo, i nerazzurri tentano di costruire l'assetto ampliando con pazienza il momento per verticalizzare e pungere senza indugio. Lautaro scalda i guanti di Tatarusanu con la stoccata di contro balzo. Nei dieci minuti iniziali il Milan passa a malapena la metà campo, il dominio territoriale nerazzurro coincide con la supremazia nello sviluppo propositivo dell'impostazione. Muovere le pedine può essere la soluzione vincente: il canovaccio è chiaro e serve la scintilla buona per stappare il derby.
EPPUR SI MUOVE. I blitz sono solo dell'Inter. E lo sviluppo vincente arriva da corner: il settimo acuto in carriera del Toro Lautaro Martinez è frutto di un movimento da manuale. Passo indietro e torsione implacabile che trafigge la resistenza anni '60 del Milan. Scelta di tempo perfetta, sfruttando anche la deviazione di Kjaer per togliere tutti i margini di manovra al possibile intervento di Tatarusanu. Quel saltino a balzare all'indietro e la girata di collo perfetta. Pietra pregiata di: essenza della vita e dell'universo più profondo nei meandri del magnifico prato verde. Le tortuose pieghe rossonere s'attivano nello spirito ultra-difensivo, solo per schermare e sporcare qualsiasi traccia fisionomica. Leggere le azioni senza forzar mai la giocata: è il tratto identitario della squadra forte, che comanda l'andamento in campo. Gabbia, Kjaer e Kalulu si passano il pallone a ripetizione: sembianze di calcio medievale. Superiorità aggressiva dell'Inter, l'involuzione concettuale del Milan è lampante e oggettivamente inspiegabile. È una riconsegna quasi automatica del pallone.
IDEE E ANTI-IDEE. La scienza lucida ci porta alla verità perfetta e immutabile, avendo come oggetto di studio le idee. Quelle del Milan non esistono. Anzi, sono implicitamente contro la natura della squadra che ha vinto lo scudetto l'anno scorso: undici pedine dietro la linea del pallone, senza avere alcuna forza per ripartire ribaldando l'azione. Pioli inserisce Diaz dopo un primo tempo di zero assoluto in termini statistici e di gioco. Il traffico si rende padrone della densità, la confusione regna sovrana in mezzo al campo. L'istante del pasticcio, forse per sottovalutazione del pericolo, porta l'Inter a qualche piccolo errore in fase di costruzione. Ma ancora il Toro a trovare l'impulso per l'agguato sul primo palo, trovando il tempo per la stoccata respinta da Tatarusanu. Assatanato in quella zona, padrone di ogni contingenza, la sua e quella dei difensori del Milan, in balìa della fame di Lautaro.
CALCIO E CALCI MEDIEVALI. L'immediatezza del sentimento e le inclinazioni soggettive devono essere superate dall'uomo saggio. La morsa stringente del profilo basso, del ricordo di situazioni passate che tornano sempre lì, nell'angolino delle capacità potenti. Pioli insiste sulla pressione verso i tre centrali nerazzurri, ma il baricentro rossonero è bassissimo, tant'è che in alcune circostanze la proiezione visiva inquadra una difesa a sei. La genesi di qualche cenno offensivo arriva, ma l'Inter controlla l'esecuzione evolutiva senza patemi. Lukaku, Gosens e Brozovic: Inzaghi opta per la triplice sostituzione per rinfrescare l'assetto. Così i giocatori nerazzurri si associano per rendere funzionale l'efficacia della gestione. L'incredibile contropiede sull'iniziativa avanzata spericolata di Skriniar regala alla banda di Pioli l'occasione che Giroud fallisce tra gli sguardi increduli dei suoi compagni. La seconda stoccata rimane sospesa a metà, per il filo dell'offside. Quello del calcio medievale è stato ampiamente spezzato. Con potenza, padronanza ed energia. Non c'è mai stata storia nella serata di San Siro.
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