Se la prima sosta per le qualificazioni europee era forse capitata troppo presto per poter fare un ragionamento sensato sul massimo campionato, quella attuale inizia ad essere discretamente credibile: se non altro la classifica comincia ad assumere una fisionomia decente, le distanze si amplificano e si può concretamente pensare quali saranno le compagini protagoniste della stagione che verrà.

Complice la disgraziata partenza dei campioni in carica, il lotto delle pretendenti ad un posto al sole è sovraffollato. Eccezion fatta per la Fiorentina, che meritatamente sta davanti grazie ad una partitaccia con la quale siamo riusciti a regalare ai Viola il primato e le certezze, le altre sgomitano e scalciano per il loro lurido pezzettino di terra (citazione da “I Guerrieri della Notte” di Walter Hill, film cult che consiglio di vedere e rivedere più volte. Con gli occhi dell’epoca, sia chiaro).

Noi, finalmente, ci siamo. E diciamocelo pure senza toccare ferro, qualunque altra cosa o, nella fattispecie per i maschietti, qualsiasi ammennicolo di appartenenza. Ci siamo perché, piano piano e con qualche difficoltà, stiamo diventando ciò che non eravamo ormai da molti, troppi anni. Una squadra. Che non significa una accozzaglia di campioni veri o presunti (nel nostro caso per qualche stagione solamente presunti), ma un gruppo di ragazzi coesi nell’inseguire lo stesso obiettivo, nel perseguire con costanza e serietà la stessa meta.

Prima, fino a fine agosto, l’idea che avevo guardando giovanotti con la faccia smarrita girovagare per il terreno verde del Meazza vestendo i colori del popolo del cielo e della notte era: punto uno, non c’entrano niente con questi colori; punto due, cercano la giocata personale per impressionare il giornalista di turno che, nello stilare le pagelle, ne terrà conto. Ma molto raramente avevo potuto osservare undici atleti che se ne fregavano altamente della giocata personale, se non portava benefici ai compagni. Ed in questo scorcio di stagione mi è capitato di vederla; sissignori, giocata personale evitata per non danneggiare gli altri; ecco il motivo per il quale sto, ripeto, iniziando a pensare seriamente di avere a disposizione una vera e propria squadra.

Sì, lo so, non giochiamo bene. È innegabile. Anzi, per dirla tutta, giochiamo male, spesso sembriamo sotto ritmo, arriviamo poco e meno ancora pericolosamente in area avversaria. Però, di contro, ascoltando questa tiritera così tante volte quasi quasi mi stavo convincendo anch’io della cosa. Quindi che faccio? Vado a dare uno sguardo rapido alle statistiche delle partite fin qui disputate dai nerazzurri e, udite udite, sempre eccezion fatta per l’oscena (e chiamiamola col nome vero senza cercare un sinonimo che oltretutto non esiste) dimostrazione di NON calcio offerta contro la squadra dei Della Valle (doppia colpa quindi visti anche i recenti accadimenti), l’Inter è sempre stata padrona di tutte le partite giocate fin qui. Sempre possesso di palla superiore. Sempre maggior numero di tiri verso la porta avversaria. (Quasi) sempre maggior numero di calci d’angolo, che qualcun altro avrebbe utilizzato come ariete da combattimento per un eventuale rinnovo.

Battute a parte, neanche troppo battute poi, forse siamo poco belli da vedere, ma di certo letali. Perché se il buon signor Rocchi vede a Genova quel che c’è da vedere a meno di dieci minuti dalla fine, oggi forse parleremmo dalla prima posizione e con qualche punto di vantaggio in più su chi ci insegue. E non ditemi che lo svarione di Genova pareggia quello di Carpi per cortesia: in Emilia eravamo al sesto del primo tempo, con una partita intera da giocare contro una squadra clamorosamente inferiore dal punto di vista tecnico. In Liguria, ammesso e non concesso che la massima punizione fosse stata trasformata, avremmo dovuto giocare per meno di dieci minuti contro una formazione che non ne aveva più. A memoria ricordo che dopo il gol, la Doria ha passato tre volte la metà campo in contropiede senza mai arrivare pericolosamente dalle parti di Samir. Detta in soldoni, la partita di Marassi nel secondo tempo è stata disputata per circa quaranta minuti nella metà campo blucerchiata. Ma qui poi finiano a discorsi simili a quelli sul sesso degli Angeli, quindi senza senso. Coi se e coi ma nel calcio, lo scrivo e lo penso veramente, non ci fai proprio un bel nulla. 

Un particolare che ho notato invece in questo inizio stagione è che mentre le altre hanno problemi di amalgama, sapete hanno cambiato due/tre elementi della prima squadra, noi certi problemi non dobbiamo averli. No, perché cambiarne sei/sette non vale; o ne cambi due/tre oppure la scusa dei nuovi innesti non regge. Pertanto se qualcuno sbaglia è uno scivolone dovuto ad un normale assestamento; se sbagliamo noi non va bene, siamo dei reietti, illusi, fedifraghi, incapaci e già che ci siamo pure prescritti. Perché a qualcuno piace dipingerci così. Sono sempre meno per la verità e la loro voce è sempre più flebile, ma ancora qualcuno resiste.

Tra i giocatori c’è chi ha reso di più e chi di meno; ma credo faccia parte dell’ordine naturale delle cose. Non tutti hanno le stesse reazioni, gli stessi comportamenti, lo stesso carattere. Vivaddio per fortuna. Così quando leggo o sento che si parla male di uno a caso, tipo Kondogbia ad esempio, iniziano a girarmi alla velocità delle pale di un elicottero in fase di decollo. Il ragazzo mostra lampi di classe eccelsa, non regala il pallone all’avversario in zone nevralgiche, non fa quasi mai cose sbagliate. Deve semplicemente abituarsi ad un calcio, quello nostrano, diverso in modo clamoroso rispetto alla Ligue 1 da cui proviene; però non importa, si deve integrare immediatamente, sennò è un pacco. Io aspetto. Anni fa i tifosi di una squadra di una città del nord Italia aspettarono sei mesi un ragazzo che poi esplose scrivendo pagine fondamentali della storia del calcio mondiale; ma le critiche verso quel ragazzo io le ricordo benissimo, come fosse oggi. Pertanto pazienza, Geoffrey presto sarà quello fantastico ammirato in Champions League la scorsa stagione.

Ultimo piccolo pensiero per il Mancio; che è un istrione della panchina, che contrariamente ai suoi predecessori (eccezion fatta per il Vate ma quello non è umano) sa cosa dire, come dirlo e quando. E che se anche ha torto te la racconta così bene, senza tirare in ballo dissenterie varie insomma, che quasi quasi finisci per crederci. Salvo poi ragionarci e domandargli: Roberto, io Le voglio un gran bene, lei è il mio allenatore ed io la seguo e la difendo… ma perché ci ha messo cinque partite per far fare a Perisic il suo ruolo naturale?
Così, tanto per sapere.
Amatela. Sempre. E buona domenica a Voi!

Sezione: Editoriale / Data: Dom 11 ottobre 2015 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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