Si fa presto a parlare di partite 'in chiaro'. Da tempo, ormai, tutti abbiamo assunto che quando usiamo questa espressione ci riferiamo ai match che vanno in onda in televisione senza un particolare segnale codificato. Eventi 'gratis' aperti a una vasta platea nazionale che include spettatori di ogni genere, dal neofita all'esperto massimo che devono saper maneggiare con gli strumenti a loro disposizione i fiumi di parole che sgorgano dalle bocche dei telecronisti e degli ospiti in studio. Il tacito accordo tra analisti e tele-dipendenti prevede di arrivare a una sintesi condivisa che spieghi lo svolgimento della realtà condensata in 90'. Un fine ultimo spesso irraggiungibile per la cattiva abitudine di veicolare un messaggio ibrido che confonde cronaca e opinioni.

Una dicotomia che ha acceso il dibattito in anni recenti anche tra alcuni dei rappresentanti più illustri del nostro giornalismo. Guardando una puntata di 'Fair Play' del '93, reperto di talk show di rara chiarezza esplicativa, si possono apprezzare le posizioni di gente come Giorgio Bocca, Enzo Biagi, Rino Tommasi e Gianni Clerici. Il gotha della categoria impegnato a declinare la potenza squassante del piccolo schermo sulla narrazione di un fatto come una partita di calcio. Per Bocca, ad esempio, gli approfondimenti tecnici sono noiosissimi e il mittente deve spiegare al destinatario del messaggio ciò che in tv non si vede. Un compito che, per convenzione, è stato affidato a un ex calciatore che spalleggia il giornalista di ruolo. Un obiettivo che, stando a Biagi, in pochissimi riescono a raggiungere a causa dell'utilizzo di tecnicismi più o meno ricercati che appesantiscono la narrazione: "Sento dire che quel giocatore ha tirato di 'collo'. E' come se a un concerto alla Scala, trovo un rompitasche che mi dice che cosa ha fatto col mignolo quel pianista. E' una delle cose più atroci" la sua riflessione. Anticipatrice delle derive linguistiche a cui assistiamo oggi, quando i soprannominati talent delle pay-tv si affidano al covercianese (copyright di Aldo Grasso) per spiegare al pubblico la tattica. Trattandoli come allievi appena usciti dal supercorso che si svolge nel centro tecnico federale. L'intento nobile di elevare il discorso dal piattume delle interviste post-partita sempre uguali a se stesse si scontra con le competenze vere o presunte di chi sta seduto sul divano e ascolta. Un cortocircuito che è spiegato alla perfezione da Rino Tommasi: "La cronaca non viene più letta da quando la gente vede il calcio in tv. Le persone credono di aver capito e allora viene meno la curiosità. Inoltre, succede che si dia per scontato che la gente sappia", l'analisi lucida del conduttore che assomiglia più a un mea culpa da recitare all'interno della categoria cui appartiene che a un'accusa verso chi si professa conoscitore solo perché ora può accedere a un'infinità di contenuti che ai tempi della radio si potevano solo immaginare.

"Vedo, quindi conosco" è l'assioma più pericoloso dei nostri tempi quando si ricerca la verità. Non si possono ignorare i punti di vista diversi dal nostro, purché gli stessi non siano inquinati da ignoranza o da meri interessi personali. Ecco perché serve la collaborazione tra chi parla e ascolta, a partire dalla creazione di un linguaggio condiviso per chi vuole davvero capire lo sport più bello del mondo. In questo contesto a cui bisogna tendere idealmente sono inaccettabili i ragionamenti superficiali e i luoghi comuni. E' insopportabile nel 2020 che chi viene chiamato a commentare una partita di calcio su una tv pubblica non conosca la materia di cui sta parlando. Dopo Napoli-Inter se ne sono sentite di tutti i colori su Christian Eriksen, anche dopo la miglior prestazione offerta dal suo arrivo a Milano. A un certo punto si è arrivato ad affermare che il danese è un giocatore di non facile collocazione nel calcio italiano e che è stato in campo quasi per tutta la gara perché deve imparare a conoscere il gioco di Conte. Praticamente un maestro del calcio in Premier e in Champions che in pochi mesi è diventato di colpo uno scolaretto alle prime armi che ha dimenticato le nozioni del gioco. Teoria così bislacca che arriva addirittura a manipolare la realtà parlando di un 3-5-2 che al San Paolo non si è visto. Errore puntualmente sottolineato da un Conte che non credeva alle proprie orecchie: "A parte che abbiamo giocato col 3-4-1-2, se vogliamo sottolineare le cose – la sua puntualizzazione a RaiSport -. Ha giocato dietro le due punte, magari in tv si è vista un'altra cosa. Parliamo di due cose diverse, oggi Eriksen in fase di non possesso aveva Demme come riferimento, e non deve correre tanti metri. Poi Eriksen è uno che corre ogni partita dai 12 ai 13 km. Della prestazione di Eriksen io sono soddisfatto. Poi magari io ho visto un'altra partita rispetto a voi dovuta alla pressione. Eriksen mi sembra una nota positiva aver trovato una situazione ad hoc per cercare di mettere i nostri giocatori nelle migliori condizioni per esprimersi". 

Il tecnico salentino, in maniera elegante, ha lasciato il beneficio del dubbio ai suoi interlocutori che non hanno potuto vedere la gara dal campo ma solo su uno schermo, dove è il regista che decide che porzione del gioco mettere in evidenza. Allo stesso tempo, però, nel suo 'non detto', Conte ha sottolineato che la domanda contiene due pregiudizi di fondo: uno riguardante il valore assoluto di Eriksen (rivisto verso il basso), l'altro sulla sua poca flessibilità a cambiare il sistema di gioco. Quasi a voler riaffermare una verità latente nel football televisto: tutti vedono le partite, in pochi le guardano. Le immagini, anche quelle in chiaro, non parlano mai da sole; sono le parole che orientano la vista e il pensiero. E formano la cultura calcistica di un Paese che continua a non andare oltre la dinamica manichea dei vinti e dei vincitori. In mezzo a questi due poli c'è sempre meno spazio per un'analisi approfondita che metta in risalto le diverse sfumature. Per citare un caso di specie: Eriksen è inadatto al gioco di Conte o ne è il perno imprescindibile dopo una partita giocata ai suoi livelli nel giro di sei mesi. Commenti frettolosi per riempire mezzora di palinsesto o due pagine di giornale, comunque senza il tentativo di alzare la media del giornalismo calcistico mainstream. Ecco perché Eriksen è un'eccellenza che stona col sentimento nazionalpopolare. 

VIDEO - COPPA ITALIA AL NAPOLI: ANCHE NEL 2020 È DELL'INTER L'UNICO TRIPLETE ITALIANO

Sezione: Editoriale / Data: Gio 18 giugno 2020 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print