Nessuno tra i nerazzurri scesi in campo al Celtic Park ieri sera era ancora nato nel maggio 1967, quando i biancoverdi scozzesi strapparono dalle mani della Grande Inter di Helenio Herrera la terza Coppa dei Campioni nel giro di quattro anni. Ma in tribuna c'era chi quella sera era in campo a Lisbona: Corso e Bedin. Probabilmente entrambi, discutendone, avranno convenuto sul fatto che anche a quasi 50 anni di distanza, contro il Celtic, l'Inter ha commesso lo stesso errore: sentirsi troppo sicura di vincere.

Certo, forte di un doppio vantaggio proprio nella fase che tutti consideravano la più sofferta, è umano un calo di concentrazione. Così come lo è il rafforzamento rapido dell'idea che questi avversari non fossero in realtà nulla di cui preoccuparsi. Sbagliato. Come nel '67, quando l'eccesso di sicurezza costò ai nerazzurri un'amarezza storica, anche ieri sera, sotto la pioggia di Glasgow, resa più fitta dalla pressione di un pubblico di casa meraviglioso, l'Inter si è cullata sugli allori e ha concesso il fianco a una squadra storicamente indomabile, come da tradizione scozzese.

È stata una serata da pazza Inter, come quelle di altri tempi, ma Mancini avrebbe preferito meno emozioni e più solidità. Non è una coincidenza se l'allenatore abbia trascorso tre quarti della partita a richiamare i suoi, ben poco convinto da un atteggiamento mentale e tattico eccessivamente frivolo. Ammetto di aver visto a tratti una bella squadra, che costruiva con pazienza e serenità la manovra offensiva, che cercava la profondità con uno o due passaggi e che non si lasciava prendere dalla frenesia sul pressing avversario. La prestazione ideale, condita da due reti che di certo non guastavano. Poi, riecco i residui della vecchia mentalità: paura, ansia da prestazione, troppa fretta e tendenza ad allargare le maglie, dimenticando che la fase difensiva non si sviluppa con i singoli ma con l'organizzazione del gruppo.

Capita persino di chiudere in vantaggio un primo tempo gettato quasi alle ortiche, e di difendere con le unghie e con i denti (altro che nascondere il pallone...) un risultato prezioso. Fino all'ennesimo svarione arretrato che costa un pareggio agrodolce. Avessi fatto serata in qualche locale e letto, al ritorno, il risultato finale, ne sarei stato comunque soddisfatto. Un 3-3 in trasferta non si butta mai via, ci mancherebbe. Di questi tempi, poi. Però il modo in cui è maturato, contro un avversario che, bontà sua, non è che fosse un ostacolo insormontabile (si andava in porta con due passaggi, diamine!), mi lascia perplesso. Così come lo è, ai limiti del fastidio, Roberto Mancini.

Rinviato nuovamente l'appuntamento con la terza vittoria consecutiva (saremo ai livelli della maledizione?), la partita di ritorno si presenta comunque in discesa. Sarà necessaria maggiore concentrazione, la stessa vista a Bergamo dopo 20 minuti di panico. Da questo punto di vista il gruppo deve ancora crescere, ma la strada è quella giusta. Ultima valutazione: per chi non lo avesse notato, rispetto a Palermo e Atalanta in campo non c'era Marcelo Brozovic. Ecco, io me ne sono accorto. E ritengo di non essere l'unico.  

Sezione: Editoriale / Data: Ven 20 febbraio 2015 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
vedi letture
Print