La vita in panchina di un qualsiasi allenatore di calcio è fatalmente legata ai risultati. Non importa che tu ti chiami José Mourinho, non conta neanche avere un credito di fiducia illimitato derivato dalla tua fama o dai tuoi trofei vinti in carriera, se non riesci a centrare l’obiettivo aziendale che viene fissato dalla società per la quale lavori. Puoi avere regalato emozioni indimenticabili ai tuoi tifosi o, meglio ancora, riscritto la storia di quel club, ma conterà sempre e solo il presente. L’oggi, che per come va veloce questo sport, può ribaltare l'opinione che una proprietà aveva su di te ieri. Hai voglia a parlare di ‘progetto’ quando presidenti e dirigenti vedono nella separazione dall’allenatore la mossa più facile e immediata per cambiare un trend negativo. Non si può certo cambiare tutto la rosa, no? Così è sempre l’uomo solo con la valigia sempre in mano, come da monito covercianiano, a pagare per tutti.
L’ultimo caso eclatante è stato, appunto, quello dello Special One, che se ne è andato via da Roma all’improvviso allo stesso modo in cui era stato annunciato come nuovo re. Creando, per il clamore della notizia, miliardi di commenti di fan giallorossi e non che hanno riflettuto sulla decisione presa dalla famiglia Friedkin. Tra il partito dei favorevoli e dei contrari, si è potuto distinguere anche il parere disinteressato di alcuni tifosi dell’Inter che non si sono fatti sfuggire l’occasione per girare il coltello nella piaga, asserendo che in Serie A il portoghese non ci sarebbe mai dovuto tornare per rispetto del suo più grande amore italiano, la Beneamata. Un concetto urlato magari rivangando la dolorosa separazione dopo la magica notte di Madrid del 22 maggio 2010, come a ribadire che quello sia stato l’errore più grande della sua carriera. Insomma, la gente ha da ridire pure su un uomo che ha portato l’Inter in un’altra dimensione, dalla storia alla leggenda con quel Triplete vinto grazie a una Champions League che mancava addirittura da 45 anni. Un’impresa epica per la quale i tifosi si vanteranno ancora tra tanti anni, eppure non bastevole per rendere Mou immune dalle critiche di chi lo ha adorato alla follia e che poi non ha capito che se n’è andato in quel modo per il troppo amore e per l’ambizione che l’ha reso tra i più grandi di tutti i tempi.
Questo serva da promemoria per il trattamento che verrà riservato a Simone Inzaghi a fine maggio, quando verrà emesso il verdetto scudetto. Sì, perché ora si tende a girare attorno all’argomento, ma la considerazione che gli appassionati nerazzurri avranno del Demone di Piacenza sarà inevitabilmente legata a quanto succederà a fine campionato. A quel punto, conteranno poco le Coppa Italia e le Supercoppa italiane messa in bacheca, il pass staccato per il Mondiale per club, le emozioni generate dal percorso europeo fino a Istanbul e i complimenti dal palco del The Best FIFA Football Awards di Pep Guardiola. Conterà ancora meno il gioco attraente, appagante ed esaltante espresso spesso dalle sue Inter nel corso delle tre stagioni vissute a Milano da erede di Antonio Conte, l’ultimo condottiero nerazzurro a mettersi la corona tricolore. Ogni giudizio verrà rapportato alla conquista o meno della seconda stella. Un fardello che per Inzaghi rischia di diventare pesante quanto quello che José Mourinho porta sulle spalle dai tempi del Triplete.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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