Pochi giorni fa è stata (finalmente) scritta la parola ‘fine’ su uno dei Mondiali più discussi di sempre. Lo spettacolo della finalissima tra Argentina e Francia - arricchito da sorpassi, contro sorpassi e da una grande altalena di emozioni che si sono susseguite a ritmo incalzante dal primo fischio fino all’ultimo calcio di rigore - non può bastare a cancellare i tanti lati oscuri del torneo che si è giocato in Qatar. Scuri come il ‘mantello’ che è stato obbligato ad indossare Lionel Messi, capitano e stella dell’Albileceste, durante la premiazione, nello storico momento dell’alzata al cielo della Coppa del Mondo.

Vestire la Pulce con il Bisht - un mantello tradizionale arabo (indossato dai soli uomini) che simboleggia il prestigio, la regalità e la ricchezza - ha rappresentato solo l’ultimo gesto di arroganza di chi, complice l’evitabile appoggio della FIFA, ha preso possesso su un Mondiale che si intreccia (e non poco) con la politica, con il denaro e con le ricche pretese dei potenti. E allora ecco che il paragone con Diego Armando Maradona per aver portato la Seleccion sul tetto del mondo con la 10 sulle spalle viene allargato alla polemica dall’outfit di Messi, offrendo un assist al bacio per l’appellativo MaraDoha. Già, perché è proprio Doha, capitale del paese della penisola araba che si affaccia sul Golfo Persico, a rappresentare simbolicamente il centro di potere di un Mondiale macchiato fin dal momento della sua assegnazione.

Basti pensare che per far disputare il torneo appena concluso sono stati interrotti tutti i campionati, alzando il sipario sulla competizione nell’insolito mese di novembre per poi concluderlo con la finale del 18 dicembre. Una data a caso? Assolutamente no, perché è proprio in quel giorno che ha luogo la festa nazionale del Qatar per celebrare l’unificazione risalente al lontano 1878. Ma non è tutto. In questi mesi il nome del Qatar è stato legato ai diritti civili. Perché letteralmente calpestati. Si può partire dai numerosi morti sul lavoro per la costruzione in poco tempo degli stadi, si può proseguire con i diritti delle comunità lgbt+ messi sotto le suole dei pezzi grossi di Doha: facile ricordare il divieto (pena ammonizione) delle fasce arcobaleno One Love promosse da tante nazionali (con la Germania in testa) e le gravi parole dell’ambasciatore della competizione, Khalid Salman, che nell’intervista rilasciata all’emittente televisiva tedesca Zdf bollava l’omosessualità come un “danno psichico”, informando gay, lesbiche, bisessuali e transgender in arrivo nel paese che avrebbero dovuto “accettare le nostre regole”. Non si possono inoltre dimenticare le accuse di sportwashing, la polemica sulla birra in tribuna, il caso Qatargate esploso con la corruzione, il riciclaggio e l’associazione a delinquere entrate addirittura di prepotenza negli uffici dell’Unione Europea a colpi di mazzette

Il triste tentativo di mediazione del presidente della FIFA Gianni Infantino con una non richiesta frase ad effetto (“Oggi mi sento del Qatar. Oggi mi sento arabo, africano, gay, disabile, oggi mi sento un lavoratore migrante”) è invece diventato l’ennesimo scivolone mediatico di un'organizzazione che, anno dopo anno, continua a perdere credibilità. E non serviva, all'antivigilia di Argentina-Francia, continuare a forzare la mano affermando che quello in Qatar è stato “il miglior Mondiale di sempre”. Perché di indimenticabile ha ben poco, ma ha tanto da cancellare: il suo inizio, il suo proseguo e il suo finale, dove si è perfino trasformata la figura di una stella come Messi in MaraDohaUn pallone che rotola, unito al soldo, non può permettere che tutto il resto non conti più nulla. 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 21 dicembre 2022 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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