"Su ciò di cui non si può parlare è bene tacere". Lo diceva Ludwig Wittgenstein, vale ancora oggi. Ho notato con profonda amarezza che si continua a blaterare, discutere, addirittura sprecare tempo nel confronto tra il dolce sapore della magia mescolata al nobile gioco del calcio e il triste sostegno di una campagna mediatica a favore dell'esaltazione di una sconfitta. Il riferimento è chiaramente al confronto che in settimana si è tenuto a San Siro tra il Milan e il Barcellona. Un capolavoro di semplicità da parte dei catalani, arrivati a Milano per giocare in ciabatte e tornati in Catalogna con tre punti conquistati senza troppo sudore. Un capolavoro di comunicazione da parte del Milan, che ha saputo spacciare una sconfitta per una vittoria. Non però per chi sa leggere il calcio e sa che esaltare una sconfitta è cosa di per sé clamorosamente errata nella gestione di una grande squadra, ancor di più se poi discutiamo di una società che del culto per la vittoria fa il suo vanto più sponsorizzato.

Eppure, fin qui non c'è nulla di cui meravigliarsi. Se qualcuno è felice di aver perso, seppur a testa alta e con tutte le banalità del caso, a noi va benissimo. A questo punto a chi parla addirittura di impresa auguriamo di ripeterla ogni domenica e ogni mercoledì, ma quel che fa innervosire è che c'è anche chi ha il coraggio di tornare su quella che fu l'Impresa - con la I maiuscola - dell'Inter di José Mourinho. Un allenatore che - fa piacere ricordarlo - non gradì per nulla quello che fu lo 0-0 della sua Inter nel primo dei quattro incontri in quell'annata 2009-2010 contro il Barcellona stesso, a San Siro, nel gironcino di Champions. Noi pareggiammo e non perdemmo, a differenza d'altri. Fu uno 0-0 scialbo ma che dimostrò come in realtà l'Inter fosse solida, ma ancora all'epoca non matura per poter ambire a qualcosa di grande. José era arrabbiato perché un pareggio contro i titani della Catalogna, in casa, non poteva andargli giù. Come magari viene spacciata oggi per impresa un ko interno.

Tendere a paragonare queste due realtà è come bestemmiare in ambito calcistico. Insomma, cosa volete che ne sappiano loro, i Soloni, di tutto quello che il popolo interista ha vissuto con quella cavalcata, con quel 2010 magico che viene riassunto nel doppio scontro proprio contro il Barça? Assolutamente nulla. Chi non ha potuto vedere cos'era quell'Inter perché impegnato a gufare prima e a rosicare poi - perché noi quelli che 'Interisti, ora siete Messi male' ce li ricordiamo ancora -, non pretenda di avvicinare neanche minimamente i due eventi. Primo perché si trattata due appuntamenti diversi, e quando il Milan arriverà in semifinale magari ne discuteremo, secondo perché parliamo di una vittoria e di una sconfitta, di un qualcosa di magico contro l'esaltazione del furore sconfitto dalla semplicità del futbol blaugrana.

Insomma, cosa ne sapete voi del calore di San Siro in quella notte d'aprile, degli occhi di Milito sotto la Nord dopo il gol del 3-1, dell'urlo del popolo interista al pareggio di Sneijder, di quel salvataggio di Lucio al novantesimo, e poi di tutte le emozioni incommensurabili di Barcellona? Niente, proprio niente. E allora non perdiamo tempo in queste stupide discussioni improntate sul nulla, facciamo piazza pulita e invece di pensare alle pseudo-imprese degli altri pensiamo a ripartire noi. L'Inter c'è, non si ferma. E' ora di smetterla di guardare indietro, la leggenda resta cristallizzata nel passato ed è solo un sogno che può diventare fonte d'ispirazione per il futuro. Ma fare tanto rumore per nulla, per una notte come tantissime altre vissuta a San Siro e non leggendaria come fu per la Beneamata, non ha proprio alcun senso.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 27 novembre 2011 alle 00:01
Autore: Fabrizio Romano
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