Ultimamente non si fa che parlare del Cholismo, una filosofia calcistica di cui negli ultimi tempi tutti gli appassionati sembrano essersi accorti. Ma in cosa consiste questa corrente di pensiero che trova concretezza su un campo di calcio? Quest’anno mi è capitato di guardare qualche volta l’Atletico Madrid, compreso martedì sera quando si è esibito all’Allianz Arena, e non nascondo il sottile piacere che ho provato nel vederlo qualificarsi ai danni del ben più quotato Bayern Monaco. Nulla di personale contro i tedeschi, ci mancherebbe, anzi li ringrazio per avermi regalato una delle poche gioie da tifoso in questa stagione. Non approfondisco, il riferimento mi pare chiaro. Però, come credo molta altra gente, veder Davide che affossa Golia è sempre gratificante, perché comunque apre delle finestre di speranza a chi pensa di essere solo un pesciolino in un mare popolato da squali. Leicester docet, è lapalissiano quanto la stragrande maggioranza di chi segue il calcio, spesso od occasionalmente, abbia tifato per gli eroici ragazzi di Ranieri e per la loro favola divenuta realtà.
Certo, i Colchoneros hanno sangue nobile nelle vene, non sono certo una piccola realtà periferica del calcio spagnolo. Considerando soprattutto le ultime tre stagioni in cui Diego Simeone ha ripulito l’ambiente di sudditanza nei confronti dei cugini di Plaza de Cibeles, usando il lato ruvido della spugna. E svolgendo anche un lavoro encomiabile, risultati alla mano. Ma il Cholismo non è la mera statistica, altrimenti non ci sarebbe nulla su cui disquisire. Qui siamo nell’ambito della qualità del gioco espresso, decisamente in controtendenza rispetto al calcio spagnolo in generale e, tutto sommato, al cosiddetto bel giuoco che dal Barcellona in poi ha invaso la fantasia di giovani allenatori emergenti e di tifosi sempre più esigenti.
Ecco, il Cholismo potrebbe essere considerato l’opposizione a questo senso del bello che esalta il pubblico buongustaio ma, e studi recenti lo dimostrano, non porta necessariamente trofei in bacheca. La caduta di Barça e Bayern per mano dei Colchoneros è un chiaro segnale d’allarme per tutta l’Europa affascinata dal tiqui-taca e dal possesso palla. Difesa, reparti stretti, raddoppi, qualche colpo basso e contropiede rapido: è così che l’Atletico Madrid ha prenotato il viaggio destinazione Milano per la finale di Champions League. Pragmatismo per qualcuno, catenaccio per altri. In sintesi, Cholismo.
Beh, io francamente penso che Simeone non abbia inventato nulla e non abbia molto senso distribuire etichette a ciò che esiste dall’alba dei tempi. Noi italiani lo conosciamo bene, abbiamo vinto trofei a valanga con questa mentalità da baricentro basso. Per non parlare dell’Inter, che ce l’ha nel DNA anche se talvolta il tecnico di turno cerchi di snaturarla applicando una modalità più sfacciata e gradevole all’occhio. Ok, faccio outing: a me la combo difesa+contropiede piace moltissimo. Per questo ho apprezzato sia Leicester sia Atletico Madrid, che pur con effettivi e applicazioni differenti ne hanno dimostrato l’efficacia al cospetto di chi predica il dolce stil nuovo calcistico. A me un contropiede in due-tre passaggi esalta ben più di un possesso di palla che chiama in causa 10 giocatori ma che poi, davanti a una fase difensiva quanto meno discreta, va a sbattere irrimediabilmente. Figuriamoci contro i cultori della difesa. Colchoneros e Foxes hanno dimostrato che più del bel gioco in campo servono attributi grossi così, organizzazione tattica e, soprattutto, l’assoluto rifiuto della sconfitta anche a costo di, come si suol dire, sputare sangue.
E da questo punto torno a guardare in casa nostra, quella nerazzurra. Ricordo l’inizio di stagione, quando l’Inter collezionava 1-0 ma faceva storcere il naso per la qualità espressa in campo. Oltre agli abbonati alla critica anti-nerazzurra, molti tifosi lamentavano questa carenza di estetica e non riuscivano a essere pienamente soddisfatti dei numeri, che hanno tenuto la squadra in testa al campionato fino alla 18esima giornata. Poi il crollo, abbinato comunque, con il trascorrere del tempo, a un miglioramento nella forma espressiva. Ma senza risultati, anche in modo imbarazzante. Chi ha osservato l’Inter per tutto l’arco della stagione ha sicuramente notato, al netto dei punti gettati al vento e di qualche passaggio a vuoto (l’ultimo all’Olimpico) segnali di crescita nel gioco, come auspicava Mancini. E credo che, di fronte a una classifica come quella attuale, anche i più scettici del girone d’andata avrebbero continuato volentieri a racimolare 1-0 senza riuscire a realizzare il quarto passaggio di fila. Io per primo, soprattutto perché l’Italia calcistica è estremamente risultatista e chi vince ha sempre ragione.
Adesso noto un’insurrezione popolare che vorrebbe immediatamente il vincente Simeone subito sulla panchina nerazzurra. Ma se ciò avvenisse, il rischio di rivedere l’Inter pragmatica e antiestetica del girone d’andata sarebbe dietro l’angolo. Bene, direi, significa vincere pur senza divertire. Ma chissenefrega, no? L’Inter, dopotutto, non ha il bel gioco nel proprio DNA, come dicevo prima. Ma qui mi tocca, ahimé, tornare al discorso precedente. Quello degli attributi grossi così, della maglietta sudata che si potrebbe strizzare, dello sputare sangue e dell’assoluto rifiuto della sconfitta. Questa Inter pecca tremendamente in ognuno di questi fondamentali aspetti. Oltre che di qualità, perché è giusto sottolineare come Simeone disponga di giocatori dal tasso tecnico elevato (Griezmann, Saul, Tiago, Koke, Gabi…) che però si mettono a disposizione del collettivo per raggiungere l’obiettivo comune, riscoprendosi così dei mastini che darebbero tutto per il proprio leader in panchina. Mi domando: per qualità e garra, l’Inter può essere accostata all’Atletico? Assolutamente no (per ulteriori informazioni chiedere al Mancini post Olimpico). E, di conseguenza, mi chiedo: se domani si sedesse sulla panchina nerazzurra, Simeone riuscirebbe a realizzare con questi giocatori quanto fatto a Madrid? Dubito, a meno di un'altra pseudo rivoluzione.
Morale della favola, vado dritto al punto: il Cholo non cambierebbe di molto il destino di questa Inter, se la stessa non venisse costruita a sua immagine e somiglianza. Della personalità di molti degli attuali nerazzurri lui non saprebbe che farsene. Pur essendogli dedicata una nuova corrente filosofica, Simeone non ha la bacchetta magica, così come tutti gli allenatori del mondo (si pensi a Guardiola). Poi, magari, il 30 maggio l’Inter annuncia il Cholo al posto di Mancini e la squadra, stimolata dalla personalità incontenibile dell’argentino, cambia letteralmente volto (qualche anno fa un altro signore ci riuscì, però partiva da una base umana di altro spessore). Pertanto ho qualche dubbio, perché certe qualità non le scarichi da internet e continuare con Mancio, che oggi ha il quadro della situazione più chiaro, sarebbe il minore dei rischi. Poi, nella vita non v'è certezza e non ho la sfera di cristallo. Altrimenti avrei scommesso qualche euro sulla vittoria del Leicester in Premier League.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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