Incredibile! Oppure no? Tutti si stupiscono che una squadra fino a 40 giorni fa prima in classifica, tosta e combattiva si sia trasformata in un ammasso di buoni giocatori svogliati e impauriti, capaci di perdere punti sempre negli ultimi minuti e di precipitare al quinto posto in classifica con il rischio sorpasso rossonero. Roba da matti, roba da Inter. La delusione si attorciglia intorno allo stomaco e fa vomitare giudizi apocalittici e disperati. Lo capisco, la pazienza nerazzurra è tanta ma non infinita. La gioia del Triplete non si esaurirà mai ma ora non basta più per sopportare l’atteggiamento timoroso di gente che dovrebbe guardare l’avversario negli occhi dicendogli: “qui comando io”. Invece in questo momento in campo abbiamo giocatori che hanno paura di muoversi dalla loro mattonella, di prendersi responsabilità troppo grandi diventando pecorelle di fronte ai lupi avversari: vittime sacrificali insomma.

Ecco che il Carpi, il Sassuolo, l’Atalanta e il Verona diventano i nostri carnefici, il gigante pronto a schiacciare il Lillipuziano vestito di nerazzurro. E se le squadre sopra citate sono giganti pensate cosa possono diventare Juventus, Milan e Fiorentina. La paura ti paralizza nella vita normale come negli incubi. Vorresti urlare e reagire ma rimani lì immobile ad aspettare l’inevitabile, ad aspettare di essere “matato”. Eppure se avessi voluto, se avessi avuto più coraggio, se avessi combattuto questa paura qualcosa avresti potuto fare: avresti quantomeno reagito. Reagire non è sinonimo di vincere, si può perdere lo stesso ma la reazione è il primo passo per combattere la paura e, in sintesi, è la prima mattonella utile per costruire un futuro migliore. Non è possibile che giocatori di questo calibro si arrendano alla paura, non è giustificabile.

Purtroppo quello che sta andando in scena in questi due mesi per l’Inter non è un film nuovo. Nell’anno di Strama è successa la stessa cosa: illusione, euforia, caduta e rabbia. Stessa cosa il primo anno di Mazzarri. Ora che si fa? La garanzia, nonostante quello che pensano molti pronti sempre a sparare sulla “panchina”, si chiama Roberto Mancini. Nessuno, me compreso, pensa che il Mancio sia esente da legittime e sensate critiche. Anche lui deve correggere delle cose, deve tranquillizzarsi, dare una definita identità alla squadra e ricompattare un gruppo che sembra smarrito. Ma non si può pensare dopo anni di rivoluzioni infruttuose che ancora una volta si debba cambiare tutto. Mancini ha un passato e un palmares che parlano da soli. Ha esperienze vincenti in giro per il mondo, ha allenato e gestito grandi campioni e, per il momento storico dell’Inter, lui è un lusso che non possiamo permetterci di perdere.

Non sono contento, mi tocca dare ragione a chi ci ha gettato fango addosso fin dall’inizio dell’anno pur continuando ad essere sicuro che il lavoro fin qui fatto da allenatore e società sia tutto tranne che da buttare. E’ stata costruita una buona base a livello societario e tecnico ma i giocatori sono i primi che non devono mollare e capire che sono molto più di quello che stanno dimostrando di essere. La Roma di Capello, per esempio, la stagione prima di vincere il campionato terminò al sesto posto. L’anno dopo arrivarono Batistuta, Emerson e Samuel e fu tricolore. Cacciare Capello bruciando un buon progetto sarebbe stato un errore colossale. Errore che ci costerebbe molto nell’eventualità di un addio di Mancini. Quindi riempiamoci della residua speranza che abbiamo, tanto di pazienza ne abbiamo sempre avuta. Ma che non ne approfittino troppo.
 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 18 febbraio 2016 alle 00:00
Autore: Filippo Tramontana / Twitter: @filotramo
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