A costo di evocare nel lettore la corpulenta fisionomia del mandingo italiano, Adriano Pappalardo, non posso trattenermi dal profondere in un'escandescenza liberatoria: lasciatemi gridare, lasciatemi sfogare io senza Inter non so stare. Massi', ricominciamo, finalmente. E si ricomincia con la classica partita che la vulgata in uso al pallone e dintorni definisce "alla nostra portata". Ne seguiranno altre similmente apostrofabili, in un ciclo che ci portera' fino alla 16a giornata (Inter-Napoli)  inframezzato dalla sola trasferta di Torino datata 3 Novembre per la quale chi scrive si sta preparando psicologicamente gia' da un po'. Insomma l'occasione e' ghiotta per mettere nel carniere quel fabbisogno di punti in grado di dare alla squadra che fa fibrillare i nostri cuori quella dimensione stagionale tutto sommato accettabile, credo, tale da farla assomigliare all'amico fidato, quello di cui si dice che c'e' sempre. Esserci, legare con un filo rosso il nostro destino alle posizioni che contano, a contatto col vertice della classifica, di questo ci accontentiamo nella consapevolezza che il compito che ci aspetta nell'autunno inoltrato sara' gravido di insidie. L'Inter e' uscita coi punti in mano da una situazione, prima di risultati e poi ambientale, non facile resettando e ripartendo da fondamenti strategici in continua evoluzione. Ha comunque dimostrato di "tenere" dal punto di vista del carattere e dell'attaccamento del gruppo al progetto della societa' innervato sulla personalita' del nuovo allenatore. Scantonando magari un po', si e' cercata, trovando nel frattempo successi importanti. Ma, al netto dell'esaltante primo tempo giocato contro la Fiorentina, e' andata avanti sfangando match, capitalizzando al massimo le giocate e la occasioni.

E' evidente che il filotto di risultati necessari per tenere il passo delle capoliste non potra' essere effetto durevole delle modalita' sopra descritte. Servira' altro. Servira' giocare meglio. Servira' far correre la palla piu' velocemente non solo nei ribaltamenti di gioco ma anche e soprattutto a difesa schierata. Piu' movimento senza palla a dettare il passaggio tra le linee avversarie e terminali offensivi pronti a provare con continuita' l'attacco degli spazi anche solo per allungare ed allargare le maglie delle contraeree che ci troveremo davanti. Da questo punto di vista il rientro in servizio permanente effettivo di Rodrigo Palacio e' un elemento di garanzia che fa ben sperare. Il tutto, auguriamocelo, limitando, grazie alla concentrazione e all'oculatezza nel tenere le distanze tra i reparti, quelle ripartenze per la quali ci siamo dovuti gia' leccare troppe ferite. Servira' altro anche sotto il profilo delle prestazioni individuali specie a centrocampo, dove rientrera' a pieno regime Joel Obi nella doppia opzione di esterno o di intermedio, sempre dalla parte del piede buono. Aspettiamo il salto di qualita' di Fredy Guarin, autore di un passaggio a vuoto nel periodo precedente alla sosta, aspettiamo il protagonismo di Alvaro Pereira fosse solo per assestare un meritato ceffone morale a chi -ma perche' ci stupiamo ancora, si parla di Inter- si e' affrettato a stabilire che quelli impiegati per il suo acquisto sono stati soldi buttati. Non sappiamo ancora se sara' in campo domenica in una gara in cui ci sara' da guadagnare con fatica metro su metro di campo dal primo minuto.

A Catania non si arriva ne' si viene venduti per caso, tutto procede secondo progetto e con un sottostante prezioso fatto di stabilita' e competenza tangibili a livello societario. Per questo non aspettiamoci regali da una squadra che ha proseguito nel tempo a giocare a memoria, sempre ordinata a prescindere dalla guida tecnica. Che con Maran ha trovato per l'ennesima volta da quelle parti l' esempio lampante di come si possa lavorare bene senza dover fare per forza  i fenomeni, ma lavorando nella ricerca di una continuita' di gioco e di atmosfera intorno al gruppo che profuma di straordinaria normalita'.

Nel corso dell'ultima settimana un fatto inatteso, la condanna di designatori, arbitri e guardialinee coinvolti in Calciopoli, ha strattonato il caracollante tran tran tipico delle soste per gli impeggni azzurri. E non solo, ha assestato un colpo durissimo a tutti noi che siamo usi trangugiare metri e metri quadri di carta passata sotto il piombo e talk televisivi fatti si di invettive e schiamazzi, ma anche di tanta ponderata informazione. Secondo la sentenza della Corte dei Conti i 14 condannati saranno chiamati a pagare somme oscillanti tra il milione di euro (Paolo Bergamo) e 10.000 euro (Claudio Puglisi e Fabrizio Babini). L'accusa: "danno di immagine". Ma come? Non ci avevano insegnato che i campionati sotto esame da parte della magistratura ordinaria e non, erano stati regolari? E le mani spellate dopo gli scroscianti applausi di fronte alle iniziative risarcitorie provenienti da Torino, chi le medichera' a questo punto? Si tratta probabilmente di un errore facilmente rimediabile in appello da parte di un organo giudicante meglio informato e soprattutto inconfutabilmente terzo! A meno che... A meno che ci si trovi di fronte a qualcosa che noi forzati della comunicazione post-calciopoli non avevamo messo in conto. E cioe' che perfino nelle prudentissime e compromissorie motivazioni della sentenza di Napoli fossero presenti i presupposti per una tale azione da parte della Corte dei Conti che, comunque, ovviamente, prescinde dalle stesse. Scorrendole con pazienza si arriva alla conclusione che Casoria & company hanno rilevato elementi oggettivi ed inoppugnabili in ordine all'utilizzo "fraudolento e clandestino" della schede sim estere ad elementi di condizionamento verso la classe arbitrale. Il tutto non solo avvolto nella formula del "tentativo di reato", gia' sufficiente per i giudici napoletani per procedere alle condanne che sappiamo. Per uno Stato serio (fino a prova del contrario) quanto emerso basta e avanza per chiamare a rispondere delle proprie responsabilita' quanti per suo conto ( coni e suoi dipendenti, tra cui designatori e collegati) amministrano un culto socialmente rilevente, quale e' una religione che porta tutte le domeniche gli aventi diritto alla credibilita', uomini e donne, nei propri santuari.  Il diritto leso e' proprio il loro diritto quello di poter credere in un fatto sportivo non contraffatto. Con buona pace di chi prova a spiegarci ancora oggi che attraverso quelle famose schede si parlava di mercato. E per la felicita' di tanti bambini in eta' scolare che avevano gia' capito da che parte veniva fatto girare il fumo in quegli anni da risarcire a tutti noi.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 20 ottobre 2012 alle 00:00
Autore: Giorgio Ravaioli / Twitter: @Gravaioli
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