Macerie, sostanzialmente. È vero, si dirà, che l’Inter ha tutto sommato colmato le sue lacune nella finestra di mercato appena concluse: il difensore c’è, e non serviva certo di meglio rispetto a Lisandro Lopez per fornire un’alternativa plausibile ai centrali titolari; Rafinha, dal canto suo, è un giocatore a tratti sublime, e l’idea di puntare su un giovane tanto valido approfittando di un momento sfortunato della sua carriera, con la possibilità di renderlo del tutto nerazzurro in estate, è senz’altro un’ottima idea. È vero, dicevamo, l’emergenza è stata risolta, i buchi rattoppati. Le macerie restano però negli occhi e nella testa di chi ha dovuto assistere a un’estenuante pantomima, fatta di insoddisfacenti spedizioni a Nanchino, di trattative impostate con salti mortali multipli e rimaste inconcluse per questioni di formula, limiti di spesa imposti dall’Uefa e risposte negative e preoccupanti da parte della proprietà. Esistono due differenti piani sui quali questo mercato ha lasciato le sue tristi tracce, ed entrambi vanno a intrecciarsi con il momento tecnico per nulla felice: la squadra sfilacciata e attaccata con gli artigli a un gioco ripetitivo e sterile che si è vista negli ultimi due mesi non potrà giovarsi, nella sua marcia obbligata alla Champions, di un innesto che le facesse vedere più vicino il traguardo; inoltre, se il cielo è grigio subito sopra il nostro naso, anche l’orizzonte del futuro non può non essere velato da nubi dopo quanto si è visto, e non si è visto, in questo mese.
IL PRESENTE - L’oggi, prima di tutto, perché il campo ha la precedenza su ogni cosa. Nel tentativo di accumulare con espedienti tendenti al miracolo un tesoretto per sbloccare l’affare Pastore, l'Inter ha pensato bene di convocare Marcelo Brozovic e il suo agente al Melià: il croato, che già di suo non è celebre per la propria concentrazione e un religioso attaccamento alla causa, dovrà adesso disfare le valigie e rimettersi addosso, come se nulla fosse, una maglia che era già finita nel cestone dei panni sporchi. E dovrà farlo, perché la cessione di Joao Mario fa sì che il croato sia improvvisamente pedina irrinunciabile nello scacchiere di Spalletti, a meno di una repentina esplosione di Rafinha. Nel tritacarne delle cessioni, subito dopo, ci finisce Pinamonti, e in questo caso è stato il ragazzo stesso a far notare che al Sassuolo, con ogni probabilità, lo attendevano con un seggiolino in panchina già bell’e pronto per ospitare il suo fondoschiena; tanto vale, dunque, continuare a crescere a Milano, e non perdere contatto con gli amati colori e una squadra di blasone. E, ancora, la partenza di Nagatomo, senz’altro il migliore tra quelli che si sono alternati a sinistra quest’anno: il peso della sua cessione in prestito al Galatasaray, tuttavia, va senz’altro ridimensionato per difetto, dal momento che il giapponese era chiaramente l’ultima scelta nella testa di Spalletti per andare ad occupare quella fascia maledetta. Se a noi esterni Yuto è piaciuto, soprattutto nella perfetta simbiosi con Perisic, Spalletti non la pensa allo stesso modo da mesi, ormai: sceglie chi può scegliere, dunque è in qualche modo giusto così. Quanto agli evidenti problemi di qualità e sterilità offensiva della rosa, Rafinha potrebbe offrire una grossa mano, o forse no; un Brozovic a pieno registro, lo scriviamo da ere geologiche, sarebbe un toccasana per le esigenze di prolificità che questa squadra palesa da tempo. Siamo, però, nel campo delle ipotesi, delle scommesse, e l’ambiente sognava di avere tra le mani un’Inter in grado di ambire al quarto posto con certezze che non aveva a dicembre e che nessuno ha potuto consegnarle a gennaio.
IL FUTURO – Per dar forma all’Inter che verrà, il primo indicatore sarà proprio il campo, e la capacità di questo gruppo nel rialzare la testa dopo l’ennesimo crollo degli ultimi anni. L’ingresso in Champions League, se servisse ripeterlo, farà tutta la differenza del mondo tra quella che potrà essere la prima, reale stagione di un percorso di crescita o, viceversa, l’ennesima annata in cui arrabattarsi alla meglio per tentare di rientrare nel giro. Tra introiti direttamente legati alla Uefa e i ricchi bonus delle recenti sponsorizzazioni cinesi, gli esperti del settore affermano a buon diritto che, fra i due scenari, balla una cifra vicina al centone: inutile spendere altre parole sul circolo virtuoso che si innescherebbe inevitabilmente a partire da quel primo traguardo tagliato. Desta però timore quanto si è visto in termini di lungaggini e poca agilità della macchina Inter: la società nerazzurra sembra al momento una famiglia divisa in due, con un ramo che agisce tentando di rispondere alle esigenze tecniche nei modi più disparati; il capofamiglia (o chi per lui) ha infatti posto limiti ben netti, che ogni volta paiono stringersi a tenaglia piuttosto che allentarsi, e le sue risposte finiscono per frustrare e demolire ogni complessa impalcatura che la dirigenza mette in atto. Lo stesso arrivo di Sabatini come figura mediatrice tra le due componenti non ha al momento funzionato: l’ex Roma ha finito infatti per far ovviamente squadra con la parte italiana, sbattendo il grugno contro i secchi ‘no’ provenienti dalla Cina dopo ogni ingegnoso tentativo di conciliazione tra le necessità di Spalletti e il portafogli vuoto. Non si può continuare a far viaggiare il carrozzone con la velocità di crociera di una tartaruga. Si voleva inizialmente lavorare sul monopolio dei giovani italiani, ma – mentre qui si tentenna tra missioni, permessi e divieti – questi ragazzi spariscono, fagocitati da chi i soldi ce li ha belli e pronti; si era poi pensato alla mossa risolutiva, il giocatore che alzasse la qualità tecnica e di esperienza con la bacchetta magica, e anche qui hanno avuto la meglio le tempistiche difficilmente comprensibili di una società spaccata in due tronconi. Suning è azienda enorme, seria, puntuale nei pagamenti e affidabile per ogni soggetto della finanza internazionale; al momento, nella gestione delle cose nerazzurre, il colosso cinese difetta però di celerità nell’immediato e di capacità nell’affermare a forza di investimenti la propria visione del futuro, ammesso che ne esista ancora una.
IL DUBBIO - Se da un lato, dunque, è immaginabile che l’auspicato ingresso in Champions donerà agli uomini mercato una maggiore libertà, senza le attese bibliche di un placet cinese che mai arriverà, il campo sulle quali andranno misurate le ambizioni di Suning sarà quello degli investimenti strutturali. Una decisa azione sullo stadio e sul centro di allenamento a Piazza d’Armi renderà chiaro a tutti che questa proprietà ha un progetto di prim’ordine per l’Inter; certo, non ragiona come noialtri, abituati a sognare giocatori, ma la crescita sarebbe in ogni caso inevitabile, e dovremmo soltanto abituarci a una diversa visione delle cose. Viceversa, e non vogliamo neanche pensarci, un rallentamento di Suning anche negli impegni di ammodernamento dell’Inter sarebbe – quello sì – un segnale inequivocabile di un interesse scemato. Cambierebbe tutto, cambierebbe troppo, e saremmo di nuovo in cerca di padroni. In attesa che la penna, finalmente, torni a occuparsi del campo, è questo il dubbio che più di ogni altro attanaglia chi scrive.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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