Lunedì 2 marzo 2020, ore 23 circa. Pronti, puntate, fuoco: dal proprio quartier generale, sia esso la sua casa o addirittura la sede del club da lui presieduto, il numero uno dell’Inter Steven Zhang sgancia sul sistema calcio italiano un semplice post attraverso il proprio profilo Instagram ma i cui effetti diventano subito paragonabili a quelli di una bomba cluster, di quelle che al loro interno hanno altre munizioni destinate a deflagrare a distanza nel tempo e nello spazio: esasperato dal prolungarsi del tira-e-molla interno alla Lega Serie A, ancora incapace di trovare una soluzione a quel rebus intricato che è diventato la sistemazione delle partite rinviate a causa dell’emergenza Coronavirus, Zhang junior fa esplodere tutto il suo nervosismo rivolgendo bordate ben dirette mettendo bene nel mirino il proprio obiettivo, ovvero il presidente della Lega Serie A Paolo Dal Pino. Al quale non dedica certo parole carine: “Sei il pagliaccio più grande e oscuro che io abbia mai visto”, detto così, in maniera esplicita, senza filtri.

Ovviamente, un mondo già sollecitato da fin troppe scosse fino a quel momento, con la diatriba sullo sfalsamento del ritmo prestabilito della stagione calcistica italiana e i conseguenti dubbi e recriminazioni di chi parla di un campionato ormai fortemente condizionato per non usare il termine falsato non ha potuto che accogliere le parole secche e improvvise di Steven Zhang come una sorta di ‘Big One’, di tornado abbattutosi su un territorio arido di certezze e fragile nella propria struttura. E, ovviamente, in un mondo che corre troppo veloce e non si pone mai il problema di riflettere perché la prima impressione o la prima lettura fanno tutto, ecco che tutti o quasi gli opinionisti di vario ordine e lignaggio si precipitano ad esprimere il loro disappunto per la forma e i toni usati da Zhang.

Non sono andati bene i termini usati, e fin qui, a voler fare la tara dell’esasperazione alla quale è arrivato il presidente al punto da lasciarsi andare a questo sfogo peraltro nemmeno previsto e preventivato, pare, dalla stessa società, che però in breve tempo di precisare i ranghi nei quali far rientrare le sue parole, ci si può anche trovare a mezza via. Ma non è andato bene, ad esempio, il fatto che Steven abbia affidato ad un social network il proprio grido, e questa è francamente una caduta dal pero un po’ particolare, specie in un ambiente dove spesso e volentieri si fanno le pulci ai giocatori per un like, una parola, una emoji di troppo, affamato com’è di polveroni e di voglia di commistione tra lo sport e il gossip, che sembra essere ormai disperatamente diventato l’unico motore in grado di sollevare in qualche modo vendite e letture. Ma nell’esprimere il proprio dissenso per le parole usate, tutti o quasi si sono rivelati talmente distratti dal guardare il dito da non pensare nemmeno alla lontana di dare un occhio alla luna, anzi, al lato oscuro della luna al quale puntava invece Steven.

Non si è fatto caso, in primo luogo, al fatto che magari un comunicato ufficiale da parte della società, quello che parecchi hanno subito indicato come l’eventuale soluzione ideale per esprimere il proprio disappunto, non fosse proprio lo sfogatoio ideale per esprimere un concetto. O per meglio die, per esprimere la rabbia per una situazione, quella legata alla gestione di un evento sul quale comunque la famiglia Zhang ha investito un pesante quantitativo soldi in maniera diretta, attraverso l’Inter e attraverso l’acquisizione dei diritti tv per la Cina tramite PPTV, che ha davvero assunto contorni oltre il grottesco. E soprattutto, per il modo in cui si sta trattando un tema a dir poco delicato come quello di un’emergenza sanitaria, quella del CoVid19, che continua a persistere e a condizionare le attività sociali allorché in Italia i casi di contagio certificati crescono col passare dei giorni (così come anche le guarigioni, va detto). Un tema per il quale Steven, questo è noto ma forse si fa apposta a dimenticare, ha sempre mostrato un’attenzione particolare: basti pensare al gesto della donazione delle mascherine alla popolazione di Wuhan, epicentro dell’epidemia, nei primissimi giorni dell’esplosione dell’allarme, oppure ai fondi raccolti con la vendita all’asta in Cina delle maglie usate dai giocatori dall’Inter nel derby.

Ecco perché quello che Steven Zhang ha scritto lunedì sera, intorno alle 23, sul proprio profilo Instagram, non è solo ed esclusivamente lo scriteriato sfogo di un presidente di una società di calcio, anche se inevitabilmente a quel ruolo sarà ricondotto e in base a quel ruolo gli costerà delle conseguenze comunque, possiamo darlo per certo, sopportabili in proporzione a quanta fosse l’indignazione covata fin troppo in petto. Quello scritto su quella schermata nera è essenzialmente lo sfogo di un uomo: di un uomo che non riesce a digerire che una situazione di vera e propria crisi venga ricondotta nel mondo che lo vede più vicino, quello del calcio, ad una sorta di bailamme di date, di porte aperte e porte chiuse, di interesse generale per la salute che viene scavalcato dalla voglia di non offrire un’immagine deprimente del prodotto calcio all’estero, specie nel giorno di Real Madrid-Barcellona con tutti gli occhi del mondo puntati su un Bernabeu gremito e festante (ma francamente, e anche un po’ cinicamente, è forse facile fare il gioco delle proporzioni sul pubblico mondiale delle due sfide in programma in Italia e Spagna a quell’ora). Fa troppo male, insomma, a Steven vedere questo continuo affermare e smentire, decidere e ribaltare, questo intorcigliarsi continuamente su loro stessi da parte dei gestori della cosa calcistica italiana.

E se magari abbiamo sorriso vedendo la scena dell’arrivo dei giocatori del Ludogorets a Milano, degna della serie tv su Chernobyl (peraltro emulata dal gruppo del Real Madrid di pallacanestro che ieri ha affrontato l’Olimpia al Forum di Assago), ecco che ridiamo decisamente meno a sentire che in Serie C hanno preso decisioni se non altro coerenti e valide per tutti, così come nel campionato di basket; in Spagna hanno già chiesto la disputa a porte chiuse di Valencia-Atalanta e di Getafe-Inter; la Premier in blocco si è detta pronta ad intraprendere la strada delle gare senza pubblico nel caso si presentasse l’emergenza e anche una lega di minore lignaggio come quella svizzera ha disposto lo stop delle partite per un periodo di tempo all’emergere dei primi casi. Mentre in Italia per un provvedimento di questo tenore si è dovuto aspettare fino a ieri sera... 

Ed è anche fuori luogo accostare il discorso di Zhang al piano puramente tecnico della gestione del calendario, visto che non era sua intenzione alimentare il fuoco delle polemiche sorte dopo il caos Juventus-Inter (a qualcuno, questo, non è chiaro), anche perché questo è il piano sul quale sta lavorando alacremente Beppe Marotta, che prima ha respinto l’ipotesi “impraticabile e aleatoria” di giocare Juventus-Inter a porte aperte fiutando odore di bruciato e sbertucciando la fragilità delle basi alquanto opinabili di codesta richiesta, e che sta proseguendo il lavoro ai fianchi chiedendo il rispetto della sacralità del calendario deciso ad agosto e la disputa del match ormai diventato senza identità né luogo contro la Sampdoria prima di quello con la Juventus, semplicemente perché il programma delle partite è quello e in quanto tale va rispettato; ed è un discorso che non riguarda solo l’Inter, perché altre squadre stanno patendo questa situazione restando ferme da due settimane, e tutti si rendono conto che stravolgere così l’orologio delle partite porta inevitabilmente a snaturare l’andamento di un campionato, e ad alzare il problema sono stati in primis addetti ai lavori non riconducibili all’Inter…

Prima ancora di Steven Zhang, ci aveva pensato Rocco Commisso, un altro imprenditore straniero che ha investito qui in Italia, ad evidenziare certe storture che sicuramente non possono fare bene al nostro calcio. E proprio il braccio destro di Commisso, Joe Barone, ha auspicato l’introduzione in Lega di una figura forte, terza, sulla falsariga dei commissioner che gestiscono gli sport statunitensi. Un uomo che gestisca il calcio come un grande manager, che vada al di là degli interessi individuali e pensi al bene collettivo. Tutto bello, per carità, solo che poi pensi all’arido panorama italiano e ti rassegni all’idea che una figura così, in Italia, non può esserci. O meglio, non può esserci finché la Lega sarà solo teatro delle beghe da cortile dei singoli, dove l’elezione di un presidente diventa il pretesto per spaccature di ogni genere e l’unità d’intenti è un’utopia e dove lo sport è stato spesso e volentieri la quinta dietro la quale innescare altri giochi e agevolare altri interessi. Solo il cambio di questa percezione potrebbe agevolare una svolta di questo tipo, ma se in 90 anni di Serie A i tratti distintivi sono rimasti bene o male gli stessi, cui prodest, purtroppo, cambiare?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 04 marzo 2020 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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