Avete presente quell'amico che in generale è un tipo simpatico, perfetto per stare in compagnia ma che a volte per fare colpo forza un po' troppo la mano e se ne esce con battute fuori luogo e spesso offensive che rimangono appese per aria per qualche secondo prima che qualcun altro, in suo soccorso, provi a cambiare discorso? Quasi tutte le comitive hanno un personaggio del genere, il burlone, prezioso quando c'è da fare serata, ben voluto da tutti perché consapevoli del suo ruolo e anche dei suoi limiti. L'importante è che alimenti il divertimento, il buonumore, magari abbassando il livello delle conversazioni perché è questo che ci si aspetta in certi frangenti. Sapendo che il rischio che dica una stupidaggine o varchi pesantemente il limite del politically correct è dietro l'angolo.
Ecco, Antonio Cassano è proprio quel tipo di profilo: divertente, valanghe di battute, spirito di compagnia ma anche uscite non richieste che forse avrebbe potuto evitare e che di certo non arricchiscono le conversazioni. O forse sì. Perché da quando è membro onorario della famosa Bobo TV, l'ex calciatore di Bari Vecchia si è fatto notare per tante dichiarazioni, per così dire, in controtendenza. Una qualità quando c'è del materiale concreto per disallinearsi dal coro, un difetto invece se si forzano concetti parecchio distanti dalla realtà pur con la semplice intenzione di aprire un topic.
Recentemente Cassano ha fatto parecchio discutere per un confronto a distanza con Beppe Marotta, AD Sport dell'Inter. E come suo solito lo ha fatto senza filtri, anche con espressioni che generalmente fanno storcere il naso. Ricapitolando, l'origine della diatriba è verosimilmente una delle ultime perle di FantAntonio su Nicolò Barella, risalente al maggio scorso: "Barella sta facendo benissimo, ma in un campionato mediocre come quello italiano. Non mi piace, non mi dice niente, è bravo solo a far legna. Meglio Locatelli". Ecco, che Nicolò possa non piacere è un sacrosanto diritto di tutti, ma che sia buono solo a far legna è un insulto per chi guarda le partite e per chi lo ha inserito nella lista dei 30 candidati al Pallone d'Oro, che forse un po' di calcio ne mastica. Opinioni, ci mancherebbe, nessuna pretesa che sia la realtà assoluta.
Ne è trascorso di tempo ma evidentemente Marotta si è legato al dito quella frase, decisamente sui generis per chi in teoria gode di una certa popolarità e non si limita a comunicare tramite tweet protetto da un account fake. Il manager ha atteso il momento buono per rispondere all'ex calciatore, con quella nonchalance che ti fa persino dubitare sulle reali intenzioni di chi sta parlando: "Barella è uno dei casi che da talento è diventato campione. Ho avuto a che fare con Cassano, che ho appena incontrato in albergo. Io gli ho sempre detto che non è mai diventato campione. Il talento ha delle qualità innate nel Dna. Ancora oggi io non ho visto giocatori potenzialmente più forti di Cassano, ma non ha mai accompagnato queste qualità a quelle umane, comportarsi in modo serio, disciplinato, avere una visione della vita e della professione. Lui sa di essere rimasto un giocatore non a livelli altissimi. Barella ha confermato dal Cagliari all'Inter e oggi ci troviamo davanti a un campione". Che poi, a onor del vero, è la colpa che spesso si è attribuito lo stesso Antonio, quindi nulla di scandaloso. Però ammetterlo non è la stessa cosa che sentirselo dire, un po' come qualcuno ti fa notare difetti caratteriali di tuo figlio che, pur essendo veri, solo tu hai il diritto di sottolineare. Questione di orgoglio, semplificando.
Tutto finito? Macché. Figuriamoci se un fumantino come Cassano lasciava cadere lì il discorso. Qualche ora per caricarsi a palla e attendere la diretta della Bobo TV e via di sciabolata per nulla morbida: "Marotta è un incompetente di calcio. Non conosce i giocatori: chiedeva a me chi erano i giocatori che lo salutavano. Non c'entra niente Barella: a livello umano non devo imparare sicuramente da Marotta, perché la differenza tra Antonio Cassano e Marotta è una sola. Io nella mia vita sono stato un fenomeno. Grande, piccolo, medio: sono stato un fenomeno. Non mi sono mai venduto, nel senso: non è che chiamo il giornalista per far parlar bene, eccetera. Marotta purtroppo col calcio non c'entra niente: lui è un grande politico del calcio. Prima che Marotta parli di me deve solo ringraziarmi. Lui può darsi che sia ancora avvelenato, perché quando mi voleva vendere alla Fiorentina, lo ha fatto all'insaputa del presidente. Quando il presidente mi ha chiamato per dirmi 'Dove vai?', gli ho risposto che Marotta mi aveva dato via. Lui ha detto che non ne sapeva niente e io gli ho risposto: 'Presidente, se vuole che io rimanga alla Sampdoria mi deve fare un favore. Indipendentemente da dove arriveremo, devi cacciar via Marotta a giugno'. E la buonanima del presidente, amato e sempre nel mio cuore, quando siamo arrivati quarti dopo poco tempo l'ha mandato via (Samp retrocessa nella stagione successiva, ndr). Può darsi lui è ancora avvelenato per quello. Per quel risultato alla Sampdoria deve dire grazie a me, perché ripeto: io sono stato un fenomeno a giocare a calcio. Lui non è mai stato un dirigente capace, perché non capisce di calcio e tutto il mondo del calcio lo sa: sanno solo che lui si vende bene con i giornalisti. Tutto qua". Già, tutto qua. Come se fosse poco.
Assunto indiscutibile: Cassano con il pallone sapeva sempre che fare. Piedi educatissimi, creatività di alto livello e picchi di onnipotenza calcistica che ancora oggi vengono ricordati. Ma vengono ricordati anche certi suoi atteggiamenti in campo, cartellini rossi gratuiti, litigi con compagni e allenatori. O con lo stesso Garrone, che lo ha amato tanto al punto da scegliere lui e non Marotta. Genio e sregolatezza, insomma. Cassano è stato un fenomeno, ha ragione, ma lo è stato nel bene e nel male. Ma la storia del calcio è piena di talenti come il suo incapaci di fare lo step successivo, di raggiungere il gotha dei campioni. Per quello serve la testa, serve la capacità di indirizzare le proprie qualità per il bene della squadra ma anche di sé stessi. Barella non ha e forse non avrà mai i piedi o la creatività di FantAntonio, ma con il tempo e grazie anche ad Antonio Conte è cresciuto mentalmente, ha limitato i suoi slanci caratteriali anteponendo quelli tecnici e tattici. A 24 anni è già un leader dell'Inter, al punto da meritare persino la fascia di capitano. Essere incluso nella short list del Pallone d'Oro è solo un premio per quanto mostrato finora. Per questa ragione quando Marotta lo definisce un campione forse un po' esagera ma è uno sguardo al futuro, al progetto di calciatore. Progetto che, per Cassano, ha subito troppi smottamenti per arrivare alla maturazione.
Inoltre, mettendo da parte il giudizio su Barella, sostenere che l'AD non capisca di calcio ma sia solo un politico è un controsenso. Probabilmente, non essendo più un direttore sportivo e avendo a che fare con altre questioni societarie, è meno in contatto con la parte tecnica. Ma un professionista che bazzica l'ambiente del pallone da oltre 30 anni e vanta un palmares così importante, qualcosa di calcio dovrà pur capirne. La Sampdoria versione Champions League, la Juventus dei 9 scudetti, il ritorno dell'Inter lo vedono tra i protagonisti. Perché le rose vanno costruite, gli allenatori vanno scelti e i club vanno amministrati. Non esiste solo il rettangolo di gioco. E oggi nessun interista sosterrebbe che Marotta non sia stato fondamentale dal suo arrivo, soprattutto nei periodi in cui la proprietà ha marcato pesantemente visita. Poi, ovviamente, anche lui ha commesso i suoi errori, ha fatto valutazioni errate, ha rilasciato dichiarazioni di cui poi si è pentito. E magari ha davvero il dente avvelenato nei confronti di Cassano per averlo fatto allontanare dalla Sampdoria. Ci mancherebbe non fosse così. Ma Marotta oggi è probabilmente il manager più stimato e considerato del panorama calcistico italiano e non solo. Una specie di Camillo Benso, Conte di Cavour. Colui che ha ricoperto un ruolo fondamentale nell'Unità d'Italia.
Scherzandoci su, lo stesso dirigente varesino a suo modo ha unito l'Italia, o almeno una grossa parte, interrompendo l'egemonia della Juventus e riportando il tricolore all'Inter, evento atteso da più parti (soprattutto il primo). E lo ha fatto, paradosso, lasciando proprio Torino, quella Torino da cui, al servizio dei Savoia, Cavour dirigeva il progetto nazionale. Nel Regno delle due Sicilie le sue mosse non sono state apprezzate, ma anche lì alla lunga hanno dovuto rassegnarsi dopo l'irruzione di Giuseppe Garibaldi e dei suoi Mille. Ecco, all'epoca uno come Cassano sarebbe stato nel gruppo, mai alla guida di esso: buon cecchino, rapido nello scontro fisico, ma sempre a rischio di insubordinazione. Il leader, piuttosto, poteva esserlo Barella: poche parole, tanti fatti e grande fiducia da parte dei compagni di battaglia. Che poi, l'associazione di idee è quasi ovvia: Garibaldi, Caprera, Sardegna, Barella. Coincidenze?
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